Escalation. Raid israeliano su Beirut, 14 uccisi tra cui due bambini

Escalation. Raid israeliano su Beirut, 14 uccisi tra cui due bambini

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 L’obiettivo: Ibrahim Aqil, quadro di Hezbollah dietro l’attacco all’ambasciata Usa nel 1983. Il partito sciita in difficoltà. E al confine sud si moltiplicano gli scambi di missili. Israele: non abbiamo agito in vista di un’azione su vasta scala. Stessa modalità usata con Shukr a luglio

 

BEIRUT. Beirut sotto tiro per la terza volta dall’inizio della guerra. L’aviazione israeliana ha bombardato una palazzina nella periferia sud della capitale libanese dove era in corso, pare, una riunione di Hezbollah. L’esercito israeliano, che ha subito rivendicato l’attentato avvenuto alle 4 del pomeriggio locali di ieri, ha annunciato dopo poche ore la morte di Ibrahim Aqil e altri dieci comandanti di Hezbollah. La notizia non è stata ancora confermata dallo stato libanese, né da Hezbollah.

AQIL, GENERALE importantissimo nelle fila della milizia, sembra avesse preso il posto del numero due di Hezbollah Fuad Shukr dopo l’uccisione di quest’ultimo con modalità praticamente identica il 30 luglio scorso, poche ore prima di un altro assassinio eccellente, quello di Ismail Haniyeh a Tehran. Su Aqil pende una taglia di sette milioni di dollari del Dipartimento di Stato Usa, che nel 2019 lo aveva dichiarato terrorista globale. Conosciuto anche come Tahsin, Ibrahim Aqil fa parte del più alto corpo militare di Hezbollah.

È il personaggio chiave dietro gli attentati all’ambasciata americana dell’aprile 1983 (63 morti) e dell’attacco ai marine (241 morti) nell’ottobre dello stesso anno.

66 feriti, di cui una decina gravi, e 14 morti, di cui due bambini. È il bilancio provvisorio dell’ultimo devastante attacco israeliano in mezzo a una città densamente popolara come Beirut. Prima di Shukr, il 2 gennaio scorso era stato ucciso Sahel al-Aruri, numero due di Hamas, tra i fondatori dell’ala armata, la Brigata al Qassam, assieme ad altri quadri. Stessa dinamica di ieri e di luglio, e stesso posto, la Dahiye, quartier generale beirutino e roccaforte nella capitale del partito milizia sciita.

«L’ATTACCO di oggi pomeriggio in una zona densamente popolata della periferia sud di Beirut è una nuova escalation allarmante. Assistiamo a un ciclo di violenza estremamente pericolosa con conseguenze devastanti», ha detto a caldo Jeanine Hennis-Plasschaert, coordinatrice speciale delle Nazioni unite per il Libano. Il portavoce dell’esercito israeliano, Daniel Hagari, ha affermato che l’esercito non agisce «in vista di una escalation su larga scala. Agiamo conformemente a obiettivi definiti e continueremo a farlo».

Gallant, ministro della difesa israeliana, definisce l’obiettivo generale e particolare di questo attacco: «Tutta la sequenza di azioni in questa nuova fase continuerà finché non avremo raggiunto il nostro obiettivo: il ritorno dei residenti a nord (di Israele) nelle loro case». Biden si è detto impegnato a fare in modo che «le persone nel nord di Israele e nel sud del Libano tornino alle loro case in tutta sicurezza». L’Organizzazione internazionale per le Migrazioni stima 100mila sfollati da un lato e altrettanti dall’altro.

UNA RAPPRESENTANZA delle famiglie degli ostaggi israeliani ha parlato ieri ai media americani dicendo di non volere la guerra con Hezbollah: ritarderebbe il cessate il fuoco a Gaza e un eventuale rilascio dei propri cari. Su X la radio ufficiale dell’esercito israeliano ha scritto che non si è trattato di «un’eliminazione pianificata da tempo», ma di una «opportunità operazionale».

Pianificata o no, rimane il tempismo di un’azione avvenuta in giorni di altissima tensione.

Martedì migliaia di cercapersone in dote a membri di Hezbollah, militari e non, sono esplosi; mercoledì stessa cosa, ma con dei walkie talkie. Il bilancio totale è di 39 morti e oltre 3mila feriti. Oltre cinquecento colpiti agli occhi, 300 dei quali hanno completamente perso la vista.

La gran parte del resto dei feriti, colpita all’addome, ai genitali e alle mani, si trovava in contesti civili e non militari e questo ascriverebbe gli attacchi al rango di crimini di guerra, d’accordo con la convenzione di Ginevra del 1949. Il ministro libanese della sanità, Firas Abiad, terrà una conferenza oggi: farà il resoconto della situazione sanitaria in Libano in seguito agli attentati.

A SUD INTANTO continuano gli scontri, con una violenza maggiore. Giovedì notte si sono contati 70 missili in 20 minuti lanciati dall’esercito israeliano in territorio libanese. Molte le rivendicazioni da un lato e dall’altro di attacchi a obiettivi sensibili. Si è certamente raggiunto il livello più alto di allerta dall’inizio del conflitto e gli episodi di quest’ultima settimana mettono moltissima pressione su Hezbollah.

Oltre l’aspetto puramente militare delle operazioni israeliane, i colpi inflitti al Partito di Dio ne evidenziano le mancanze in termini di controlli e comunicazione interna. Ed espongono ulteriormente il gruppo a una narrazione in cui i membri di Hezbollah diventano un pericolo per l’intera comunità.

Come annunciato da Hassan Nasrallah, leader del partito-milizia sciita, «il castigo sicuramente arriverà» per Israele. I tempi e i modi sono ancora da definire e certamente il bombardamento di ieri mette ancora di più alle strette Hezbollah, che dovrà in qualche modo rispondere al più presto agli attacchi di questa settimana devastante.

NUMEROSE le compagnie che hanno cancellato voli da e per Beirut. Nella capitale e nell’intero Libano la preoccupazione è enorme. L’aria che si respira è di sospensione, come se qualcosa di ancora più grande possa accadere da un momento all’altro.

* Fonte/autore: Pasquale Porciello, il manifesto



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