IL PRIMO CITTADINO Shiro Suzuki ha motivato il mancato invito all’ambasciatore israeliano a Tokyo, Gilad Cohen, con «problemi di sicurezza». Parlando di una scelta «difficile», ha spiegato che è stata presa sulla base di «vari sviluppi nella comunità internazionale in risposta alla situazione attuale in Medio oriente». Il timore di Suzuki è che con la presenza del rappresentante di Israele la cerimonia possa essere disturbata, mentre il desiderio è di «tenere la cerimonia per commemorare le vittime in un’atmosfera pacifica e solenne, garantendo che tutto si svolga senza rischi».

Nonostante l’allineamento pressoché totale della politica estera del Giappone a quella degli Stati uniti, non sono state poche in questi mesi le manifestazioni di solidarietà dal basso verso la Palestina. Nei giorni scorsi, la presenza di Cohen alla commemorazione di Hiroshima ha provocato le critiche di diversi gruppi di attivisti. C’è chi ha accusato la municipalità di doppi standard, visto che da anni vengono escluse Russia e Bielorussia per l’invasione dell’Ucraina e le bombe contro le sue città. Soprattutto, è stata attaccata la decisione di non invitare nessun rappresentante palestinese.

NAGASAKI ha deciso così di prendere un’altra strada, invitando il rappresentante palestinese e non quello israeliano. La richiesta è pervenuta al sindaco anche dagli hibakusha, i sopravvissuti del bombardamento. Senza dimenticare che Nagasaki ha alle spalle una tradizione politica vivace, spesso non allineata al governo centrale. Nel 1945, memore della tradizione socialista e del ruolo di primo approdo degli occidentali, era una delle città più ostili al fascismo militarista del governo centrale. Non bastò a salvarla.
Dopo il mancato invito, Cohen ha protestato: «Si sono inventati la scusa della sicurezza, ma non ha nulla a che fare con l’ordine pubblico». Accusando Suzuki di utilizzare la cerimonia per mandare «un messaggio opposto a quello che dovrebbe essere inviato al mondo libero». Non la pensa così chi ricorda l’orrore di Fat Boy, che oltre alle minacce nucleari di Mosca denuncia le decine di migliaia di vittime causate dai bombardamenti israeliani su Gaza.

L’AMBASCIATORE Usa Rahm Emanuel ha fatto sapere che non parteciperà per la «politicizzazione dell’evento» e andrà invece a un evento separato in un tempio a Tokyo. Nel giro di poche ore, la scelta americana è stata imitata da diversi paesi occidentali. Prima dall’ambasciatrice britannica Julia Longbottom, poi dagli altri. Secondo l’Asahi Shimbun, gli ambasciatori di tutti i paesi del G7 (escluso ovviamente il Giappone stesso) e quello dell’Ue hanno inviato nelle scorse settimane una lettera in cui anticipavano la loro assenza in caso di mancato invito a Israele. Al loro posto, ci saranno funzionari di rango inferiore. Il consolato Usa a Fukuoka manderà il suo responsabile Chuka Asike.

LA VICENDA è arrivata sul tavolo del governo centrale giapponese. Il ministro degli Esteri Yoshimasa Hayashi ha sottolineato che si tratta di una scelta dell’amministrazione locale, su cui l’esecutivo non è in grado di intervenire. Il premier Kishida, protagonista di un netto rafforzamento dei rapporti (anche e soprattutto militari) con Usa e Nato, sarà molto attento a prendere le distanze. A Nagasaki, invece, si ricorderà.

* Fonte/autore: Lorenzo Lamperti, il manifesto[1]