Tortura. Guantanamo, un patto chiude il processo 9/11
Il governo degli Stati uniti ha raggiunto un accordo con tre detenuti per le stragi delle Torri Gemelle: niente pena di morte in cambio dell’assunzione totale della responsabilità degli attacchi del 2001
Il governo degli Stati uniti ha raggiunto un accordo con tre detenuti per le stragi delle Torri Gemelle: niente pena di morte in cambio dell’assunzione totale della responsabilità degli attacchi del 2001. Lo ha annunciato il Pentagono poco dopo una lettera inviata dai procuratori ai sopravvissuti e ai familiari delle vittime dell’11 settembre.
In cambio di alcune garanzie, delle quali la principale è quella di aver salva la vita, Khalid Sheikh Mohammed, Walid bin Attash e Mustafa al Hawsawi si sono proclamati colpevoli di tutte le accuse, compresi gli omicidi delle circa 3000 vittime degli attentati. Sono serviti 27 mesi di negoziati con i legali degli imputati per giungere all’accordo che, in ogni caso, avrà bisogno di essere ratificato durante un’udienza del processo – secondo alcune indiscrezioni, potrebbe avvenire già la prossima settimana. In tal caso si chiuderanno ben 20 anni di giudizio, iniziati con la cattura di Mohammed in Pakistan, la sua detenzione in Afghanistan e poi in Polonia e infine l’estradizione negli Usa.
Nonostante le certezze sul ruolo di primo piano del «capo della propaganda di Al Quaeda», il principale ostacolo per gli inquirenti è stato senz’altro che i tre erano stati detenuti a Guantanamo e stando a quanto dichiarano i loro legali hanno subito torture in diversi luoghi e per un tempo prolungato. Persino la confessione di Mohammed, ribattezzato negli Usa «l’architetto degli attentati dell’11 settembre», era stata messa in discussione perché estorta sotto tortura nei penitenziari segreti della Cia – con un record di 183 sessioni di waterboarding.
A causa delle modalità con le quali le prove sono state raccolte, il tribunale giudicante ha ritenuto inammissibili le prove presentare dall’accusa. Ed è per questo che gli inquirenti hanno preferito trattare: meglio una condanna certa che chiuda il caso una volta per tutte rispetto a un procedimento più lungo dei 23 anni già trascorsi, e dai risvolti incerti.
* Fonte/autore: Sabato Angieri, il manifesto
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