Riarmo atomico: benvenuti nella nuova era nucleare

Riarmo atomico: benvenuti nella nuova era nucleare

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 La de-escalation atomica nata con la fine della Guerra Fredda è oggi un ricordo. La postura aggressiva degli Usa, la Cina che espande le sue capacità… Un mondo più pericoloso, in cui gli arsenali crescono fra incertezze e paure facilmente cavalcabili

 

Qualcuno ricorda il Presidente Barack Obama a Praga, nel 2009, parlare di un mondo libero da armi atomiche? O ancora prima, nel 1983, il giovane Obama scrivere sul magazine della Columbia University un articolo intitolato Breaking The War Mentality, dove denunciava «la logica perversa» della Guerra Fredda, scagliandosi contro dottrine nucleari che, sosteneva, «fanno gli interessi del complesso militare-industriale»?

Oggi, mentre l’ex presidente abbraccia la vicepresidente candidata, Kamala Harris, il presidente uscente Biden, raccogliendo le raccomandazioni del Congresso, lascia in eredità l’espansione degli arsenali atomici. Mentre il candidato repubblicano Trump denuncia i democratici («ci hanno portato al grave pericolo di una Terza Guerra Mondiale»), annunciando uno scudo atomico e la pace dal giorno dopo la sua elezione.

Eccola allora, la nuova era nucleare di cui parla il Pentagono. Il pericolo non è “l’Atomica del Nemico”, bensì le atomiche di una serie di nemici, Russia e Cina in testa. Per anni abbiamo assistito al graduale deteriorarsi, fino al collasso, dei meccanismi di controllo sugli armamenti. A questa situazione hanno concorso, nei primi anni 2000, la cecità dei neocon nel gestire il dialogo strategico con Mosca, così come le continue violazioni russe dei meccanismi di verifica. Chi in questi ultimi anni ha investito titoli nel settore difesa e aerospazio ha fatto ottimi affari.
L’ammodernamento degli arsenali pone problemi inediti per la deterrenza, anche perché nel frattempo anche gli altri sette stati dotati di armi nucleari sviluppano nuovi sistemi d’arma, e cambiano le regole del gioco.

In particolare, la Cina sta implementando un imponente piano di espansione del suo arsenale nucleare: il Pentagono osserva la costruzione di oltre 300 nuovi silos missilistici, e si attende che il numero di testate cinesi sarà triplicato nel prossimo decennio. Sin dal 1964 la pietra d’angolo della dottrina nucleare di Pechino è non ricorrere per prima all’arma atomica per prima, in nessuna circostanza; tuttavia, recenti omissioni di tale sottolineatura non sono passate inosservate a Washington.

A scompaginare le carte sono le cosiddette atomiche tattiche (low-yield): un ambito non regolamentato dai trattati, sul quale la Russia vanta numeri importanti. La revisione della postura nucleare voluta da Trump nel 2018 si prefiggeva l’obiettivo di espandere le opzioni nucleari flessibili, così da mantenere di una deterrenza credibile anche «contro le aggressioni regionali». Insomma, l’esecrata guerra nucleare può essere combattuta. Se l’arrivo di Obama alla Casa Bianca non ha invertito la rotta di George W. Bush, quello di Biden non ha messo fuori gioco l’eredità di Trump.

L’ordine nucleare internazionale è scosso dal momento in cui il regime russo, nel 2022, ha iniziato a parlare di «conseguenze senza precedenti per l’Occidente», minacciando la risposta atomica. Il recente accordo fra Mosca e Pyongyang, con massicce forniture di munizioni nordcoreane ai russi sul fronte ucraino ha sollevato sospetti circa la contropartita ricevuta da Kim Jong-un. Del resto, bersagliando le infrastrutture ucraine i russi hanno fatto sfoggio della propria potenza di fuoco: missili ipersonici e plananti che, se dotati di testata atomica, rendono ulteriormente difficile deterrenza e difesa. Il crescente livello di rivalità che caratterizza l’utilizzo dello spazio, con smanioso protagonismo di attori privati come Elon Musk (dichiaratosi «pronto a servire» in un governo Trump) e test su armi anti-satellite, solleva timori circa la militarizzazione fuori dall’atmosfera: parlare di satelliti significa toccare la deterrenza nucleare.

Mentre i sommergibili nucleari russi si dirigevano su Vladivostok per un’esercitazione nel Pacifico, il Financial Times rivelava file segreti che mostravano come già prima dell’invasione dell’Ucraina Mosca addestrasse la propria flotta sullo scenario di attacchi con missili nucleari su siti ubicati in Europa occidentale. Il copione non sorprende. Come già visto a Zaporzhzhia, nell’imminenza della visita a Kursk del direttore dell’Aiea, Raphael Grossi, il Cremlino accusa gli ucraini di aver preso di mira la centrale nucleare russa.

Nella realtà, lo scenario inedito è quello che vede dal 6 agosto un esercito condurre un’offensiva sul territorio di una superpotenza nucleare, la quale si affanna a gestire strategicamente la comunicazione: Mosca è passata da moniti a non oltrepassare le linea rossa, alle minacce alla Nato, salvo poi liquidare il tutto come eventi privi di significato.
Più che il fronte russo-ucraino, è la conformazione dei possibili campi di battaglia del Pacifico, solcato da navi da combattimento e puntellato di basi aeree ubicate su piccole isole, che sembra meglio prestarsi a scenari di «guerra nucleare combattuta» con atomiche a basso potenziale. Qui un numero minore di detonazioni lontane dalle grandi città rischia di esser visto come avente maggior impatto militare, senza necessariamente tradursi in un’escalation nucleare generalizzata.

Se la Cina ingrandisce flotta e capacità nucleari, il Pakistan, suo partner atomico, non si fa mancare esibizioni della propria capacità, legata alla dottrina di first use e full-spectrum deterrence. L’India di Modi – che si è appena recato a Kiev per un viaggio senza precedenti – per ora non dà segno di metter mano alla propria dottrina nucleare, ancorata al principio minima credibilità, che nemmeno menziona la questione dell’impiego delle atomiche tattiche.
Intanto un ministro israeliano dichiara che Gaza va rasa al suolo con l’atomica, e l’élite del regime iraniano, ormai sulla soglia nucleare, sembrerebbe aver aperto il dibattito circa il superamento della fatwa dell’ayatollah Khamenei, che rivendica il diritto iraniano di operare nel nucleare limitandolo all’impiego civile.

Gli Stati Uniti mantengono una postura nucleare aggressiva, incentrata sul first-use e poggiante sulla superiorità nucleare Nato, grazie anche alle basi in Europa. I rapporti transatlantici, però, diventano oggetto di dibattito nel momento in cui è necessario considerare la possibilità di un ritorno di Trump alla Casa Bianca: la copertura dell’ombrello nucleare non può essere data per scontata.

È necessario prendere atto di come la de-escalation atomica nata con la fine della Guerra Fredda sia oggi un ricordo. Siamo all’alba di una era atomica, ed è possibile che il fulcro si sposti dall’Europa alla regione indo-pacifica. Sviluppi tecnologici e moltiplicazione degli attori complicano la deterrenza, preannunciando un mondo più pericoloso, in cui gli arsenali si espandono fra incertezze e paure facilmente cavalcabili. Un mondo nel quale è quantomai necessario interrogarsi sulla realtà e sui suoi capovolgimenti strumentali.

* Fonte/autore: Francesco Strazzari, il manifesto



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