Myanmar. Rohingya tra due fuochi, torna lo «spettro della pulizia etnica»

by Giuliano Battiston * | 14 Agosto 2024 9:03

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Sette anni dopo il grande esodo in Bangladesh, la minoranza islamica di nuovo sotto attacco. E stavolta deve guardarsi sia dalla giunta militare che dai ribelli. Nay San Lwin, cofondatore della Free Rohingya Coalition: «L’Arakan Army sta cercando di portare a termine il lavoro iniziato dall’esercito birmano»

 

Venerdì scorso, nelle ore in cui a Dacca, la capitale del Bangladesh, il governo di transizione guidato da Muhammad Yunus prendeva i primi provvedimenti dopo la fuga all’estero della ex prima ministra Sheikh Hasina, nella parte sud-orientale del Paese centinaia di Rohingya fuggivano dal Myanmar ed entravano in Bangladesh. Replicando su scala ridotta quanto avvenuto nell’estate del 2017, quando 750.000 membri della minoranza musulmana furono costretti ad attraversare il confine a causa del tentato genocidio a opera di quei militari birmani che nel 2021 avrebbero preso il potere con un colpo di Stato.

A DISTANZA DI 7 ANNI, i Rohingya si trovano tra due fuochi: sarebbero almeno 150 i civili uccisi tra venerdì e sabato scorsi a causa degli attacchi di artiglieria e di droni nello Stato birmano occidentale del Rakhine, conteso tra le forze della giunta militare birmana e l’Arakan Army, uno dei gruppi che mira a rovesciare il regime. I Rohingya sarebbero stati colpiti mentre cercavano di fuggire dalla città di Maungdaw, e proprio dall’esercito dell’Arakan, che nega ogni responsabilità. Così fa l’esercito della giunta golpista. Entrambi gli attori hanno, però, gravi responsabilità.

«I civili di etnia Rohingya e Rakhine stanno sopportando il peso delle atrocità commesse dall’esercito del Myanmar e dall’opposizione dell’Arakan Army», così ha dichiarato due giorni fa Elaine Pearson, direttore per l’Asia di Human Rights Watch, presentando l’ultimo rapporto sugli abusi nell’area. «Entrambe le parti stanno usando discorsi di odio, attacchi ai civili e incendi dolosi per cacciare le persone dalle loro case e dai loro villaggi, sollevando lo spettro della pulizia etnica».

IL CONFLITTO tra l’Arakan Army e i militari birmani va avanti da molti anni. Gli scontri, ricorda l’organizzazione per i diritti umani, si sono intensificati dal novembre scorso, con l’interruzione del cessate il fuoco. Secondo i dati raccolti dall’organizzazione Armed Conflict Location and Event Data Project, da allora e fino a luglio 2024 le forze della giunta birmana hanno effettuato oltre 1.100 attacchi aerei in tutto il Paese, più di un quinto dei quali nello Stato di Rakhine, al confine con il Bangladesh. Ad aprile nuova intensificazione, in particolare nelle cittadine a prevalenza musulmana di Buthidaung e di Maungdaw, dove si stima vivessero circa 240.000 Rohingya. Secondo i dati di Human Rights Watch, almeno 40 villaggi Rohingya sarebbero stati incendiati dall’Arakan Army, in modo deliberato. «L’esercito dell’Arakan ha assediato la città», ha raccontato un uomo fuggito da Buthidaung. «Hanno iniziato a usare armi pesanti e a dare fuoco alle case. È stata una scena apocalittica».

LA CONQUISTA DI BUTHIDAUNG ha provocato lo sfollamento di circa 70.000 persone, per lo più Rohingya, fuggite verso ovest e verso sud a causa di ulteriori attacchi. L’Arakan Army ha annunciato di aver sottratto alla giunta tutte le basi di Buthidaung il 18 maggio. Ma le violenze sono continuate. E hanno riguardato anche i Rohingya rifugiati in Bangladesh. Secondo Human Rights Watch, la giunta birmana ha reclutato illegalmente migliaia di Rohingya sia nello Stato di Rakhine sia nei campi profughi in Bangladesh, grazie al sostegno di alcuni gruppi armati. L’esercito avrebbe inoltre costretto i Rohingya a partecipare a finte proteste contro l’Arakan Army.

Nay San Lwin, cofondatore della Free Rohingya Coalition, ha dichiarato al Guardian che i Rohingya sono ormai schiacciati tra due fuochi: «L’Arakan Army sta cercando di portare a termine il lavoro dell’esercito del Myanmar».

A Muhammad Yunus, a capo del governo di transizione di Dacca, spetta ora il difficile compito di fare i conti anche con il turbolento confine orientale e di tutelare la popolazione Rohingya rifugiata in Bangladesh.

* Fonte/autore: Giuliano Battiston, il manifesto[1]

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