Fumagalli: «Crack in borsa, mercati in tilt: responsabili le banche centrali»

Fumagalli: «Crack in borsa, mercati in tilt: responsabili le banche centrali»

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Intervista a Andrea Fumagalli: “Alla base della crisi c’è la politica monetaria della Federal Reserve americana che tiene alto il costo del denaro, seguendo una logica capitalista a difesa del dollaro. Il suo orientamento danneggia i salari e contrasta la conflittualità sociale. I vincitori delle politiche anti-inflazione sono le grandi imprese, chi ha perso sono i lavoratori. In Italia lo scenario peggiore, salari al palo”

 

Andrea Fumagalli, economista all’università di Pavia, un crollo delle borse simile a quello visto tra venerdì scorso e ieri non lo si vedeva dal «Lunedì nero» del 1987 o dai tempi della pandemia. Quali sono i motivi?
Quando c’è un calo abbastanza forte degli indici azionari che perdura per giorni le cause non sono mai univoche. Può essere dovuto ai forti investimenti nelle Big Tech e nell’intelligenza artificiale che hanno ridotto i profitti e i dividendi e richiedono tempi abbastanza lunghi per vedere i risultati. Il grado di incertezza è molto elevato, soprattutto se vi sono previsioni di calo della crescita dell’economia americana. Crescono i segnali di guerra in Medioriente, il prezzo del petrolio sta calando. Ma credo che il problema principale stia nella politica della Federal Reserve americana di tenere alti i tassi di interesse, seguita a ruota dalla Bce e dalle altre banche centrali.

Una politica giustificata dall’alta inflazione. Ora che si è abbassata perché la Fed non taglia i tassi di interesse?
Innanzitutto perché il reale obiettivo della Fed non è l’inflazione ma continuare a garantire una ciambella di salvataggio al dollaro per mantenere l’egemonia economica Usa. La tenuta del dollaro consente agli Usa di finanziare un debito interno che ha raggiunto livelli mai visti prima: il 122,3% del Prodotto interno lordo e un debito estero strutturale. Se il dollaro perde di appeal l’economia Usa corre rischi seri. I due debiti sono una spada di Damocle. Fintanto che i mercati finanziari sono egemonizzati dal dollaro, le bolle che producono possono essere sotto controllo, anche se ci sono segnali di segno contrario. I paesi del Sud Globale organizzati nei Brics+, dopo la riunione della scorsa estate a Johannesburg, stanno premendo per una governance mondiale multipolare, un rischio che gli Usa non si possono al momento permettere.

Il presidente della Fed Powell sta aspettando che il mercato del lavoro americano peggiori per tagliare i tassi. Nell’attesa che aumenti la disoccupazione, la banca centrale americana (e così quella europea) fa pagare di più i mutui ai lavoratori. Non è paradossale questa idea? Come la spiega?
La spiego con il fatto che la politica delle banche centrali è una politica anti-salariale e contro il lavoro che ha favorito l’accumulo di grandi profitti, sta diminuendo la domanda, contrasta l’aumento dei salari e la conflittualità sociale, Che nel periodo post-covid era ripresa, almeno negli Stati Uniti. Penso alle vertenze nel settore automobilistico, a Hollywood, nei servizi, tra gli addetti alle pulizie. Ci sono stati grandi aumenti salariali in linea con l’inflazione.

Il ribasso delle borse, e il rallentamento del mercato del lavoro, potrebbero convincere la Fed a tagliare i tassi a settembre?
Potrebbe concedere un taglio dello 0,25% per aiutare i democratici. Nell’anno delle elezioni alla Casa Bianca di solito vengono fatte politiche espansive per consentire a chi ha governato di dire di averlo fatto bene. Del resto la segretaria al tesoro è l’ex governatrice della Fed Janet Yellen. La situazione però è incerta.

Perché?
La Fed non segue la logica del ciclo politico elettorale, ma una logica prettamente capitalistica a difesa del dollaro e spesso contrasta anche con gli interessi degli stessi mercati che sono molto nervosi. Alla lunga queste politiche non piacciono nemmeno ai governi. Soprattutto quelli con un debito alto come l’Italia che lo devono pagare con gli interessi.

Chi sono i vincitori e i vinti di questa politica contro l’inflazione?
Negli Stati Uniti i vincitori sono state le corporation delle piattaforme e gli speculatori finanziari che hanno fatto tantissimi soldi. Tra i lavoratori c’è stato un miglioramento della forza lavoro bianca più istruita e un peggioramento per la popolazione non bianca.

In Europa? In Italia?
Qui di certo ha perso tutto il lavoro. I vincitori sono stati il capitale e la rendita: le grandi banche, le grandi imprese. All’aumento dei prezzi non è seguito un aumento dei salari che mantenesse inalterato il potere di acquisto. Ci sono grandi differenze a livello nazionale. C’è stata una tenuta, parziale, in Spagna, Francia e in Germania. In Italia non è successo per nulla. Non a caso noi viviamo nella situazione peggiore, qualunque cosa dica Meloni che fa propaganda.

Il ritorno della volatilità in borsa, e le incertezze nell’economia globale, spingeranno a politiche ancora più prudenti, e a rafforzare le politiche di austerità da noi?
L’Europa ha fatto una scelta di economia politica ben chiara: sostegno all’offerta, e dunque ai profitti, non disturbare l’impresa che «crea ricchezza» – un altro mantra di Meloni e il ripristino delle politiche di controllo dei bilanci pubblici. All’orizzonte non si vedono grandi conflitti salariali. Il rischio è che queste politiche di austerità vadano a penalizzare i servizi sociali, cioè le forme di salario indiretto, ancora di più di quanto non sia già avvenuto in passato.

* Fonte/autore: Roberto Ciccarelli, il manifesto



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