Escalation israeliana: invasa mezza Cisgiordania

Escalation israeliana: invasa mezza Cisgiordania

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Operazione israeliana a Jenin, Tulkarem e Tubas. Dieci combattenti uccisi, campi devastati. Ordinato il coprifuoco per 80mila persone

 

L’operazione militare lanciata ieri racconta una storia lunga sei decenni: è la Cisgiordania il vero obiettivo di Israele, non Gaza. Di Gaza non sa che farsene: territorio tra i più ricchi e liberali prima del 1948, dalla Nakba è una terra disastrata, definitivamente annichilita dall’assedio totale iniziato nel 2007. Dentro ci vivono 2,2 milioni palestinesi, praticamente lo stesso numero della Cisgiordania ma in un fazzoletto di terra infinitamente più piccolo. Ariel Sharon nel 2005 ordinò il ritiro di esercito e coloni non perché spinto da un inatteso desiderio di pacificazione, e difatti l’occupazione non è finita, si è solo resa invisibile.

Apparizioni improvvise, «da remoto»: bombardamenti a tappeto e confini sigillati. Si ritirò perché Gaza non interessa. La Cisgiordania è un’altra cosa: è «Giudea e Samaria», così la chiamano le autorità israeliane; è terra destinata a Israele, così la pensa l’ultradestra messianica oggi al governo. È l’obiettivo: confiscare più terra possibile con meno palestinesi possibile e realizzare un’annessione di fatto, come ora dice anche la Corte internazionale di Giustizia. Con buona pace della soluzione a due stati che riempie la bocca delle cancellerie occidentali.
In questi due anni di governo di ultradestra il progetto è stato portato avanti con l’ausilio dei coloni – in apparenza civili che operano per conto loro, in realtà braccio armato dell’autorità – e dai raid militari quasi quotidiani dentro le città (652 i palestinesi uccisi dal 7 ottobre). Ieri si è raggiunto un nuovo apice, con 80mila palestinesi prigionieri a Jenin, Tulkarem e Tubas e un assalto per terra e per cielo.

VENTIDUE ANNI FA l’invasione delle città cisgiordane avvenne in piena Seconda Intifada. La vita si fermò, la quotidianità divennero i funerali, gli scontri armati, i coprifuoco, gli arresti di massa e gli assedi, con due città simbolo della brutalità della risposta alla sollevazione palestinese: la Chiesa della Natività a Betlemme e la Muqata, il palazzo presidenziale, a Ramallah. Nella prima avevano cercato riparo 230 palestinesi, tanti combattenti; nella seconda viveva Yasser Arafat, leader dell’Olp e dell’Autorità nazionale palestinese.

L’operazione iniziata ieri ricorda Scudo Difensivo, 2002. Un’azione coordinata, lanciata in piena notte, che travolge la Cisgiordania settentrionale e i campi profughi negli ultimi anni alcova alla rinnovata lotta armata palestinese, Jenin, Tulkarem, Tubas. Poche ore dopo, nel primo pomeriggio, colonne di soldati a piedi sono penetrate a Shuafat, il campo di Gerusalemme.

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I coprifuoco, gli ultimatum dell’esercito che danno tre ore ai residenti del campo di Nur Shams per andarsene, il ministero degli esteri che evoca l’«evacuazione» del nord della Cisgiordania ricordano anche altro. Fanno pensare a Gaza, modalità simili, stesso obiettivo: ridurre la popolazione palestinese in spazi sempre più piccoli. Che è poi l’obiettivo principe dell’occupazione: massimizzare i palestinesi in spazi sempre più minuti e facilmente controllabili. È partita con confische di terre e colonie, con la prima – Kiryat Arba – sorta appena un anno dopo il 1967; è proseguita con la pace-farsa del 1993 che ha diviso la Cisgiordania in tre, garantendo il 60% al totale controllo militare e civile israeliano.

MARTEDÌ NOTTE i soldati sono arrivati prima sotto copertura, poi con carri armati e bulldozer, coperti dai droni. I cecchini si sono posizionati sui tetti. A Tulkarem si sono calati dagli elicotteri. Hanno isolato le città chiudendo le strade con checkpoint volanti e barricate: un assedio a cui nel pomeriggio si è aggiunto l’ordine di coprifuoco totale. È stato subito il panico. Il bilancio a ieri era di dieci palestinesi uccisi dai droni, combattenti dei gruppi sorti a difesa dei campi, mentre la Mezzaluna rossa denunciava l’assedio degli ospedali, l’impedimento alle ambulanze di soccorrere i feriti e il fermo dei paramedici. A Jenin l’ospedale è circondato dalla scorsa mezzanotte, non si entra e non si esce. Le ambulanze che riescono a passare sono deviate su strade secondarie, strette e malridotte. A Tubas i residenti raccontano di perquisizioni nelle case e civili scudi umani dei soldati per spostarsi da un tetto all’altro.

COME NEI MESI PASSATI, i bulldozer hanno livellato le strade e distrutto condutture dell’acqua e reti elettriche. I gruppi armati, legati a diversi partiti – Hamas, Jihad, Fatah, Fronte popolare – rispondono con ordigni esplosivi e fucili: hanno distrutto un bulldozer e abbattuto un drone a Tulkarem. Quattro, secondo la stampa israeliana, i battaglioni impegnati in un’operazione che durerà giorni. Nello spiegarla Israel Katz, ministro degli esteri, ha parlato di «infrastrutture del terrore islamico-iraniane»: «Dobbiamo affrontare la minaccia come facciamo con le infrastrutture terroristiche a Gaza, inclusa l’evacuazione temporanea dei residenti».

L’OPERAZIONE DI IERI è spiegata da Tel Aviv con «motivi di sicurezza», già di per sé una stortura in un territorio che Israele occupa. È un’espressione che i palestinesi conoscono bene, giustificazione a qualsiasi aberrazione e copertura a obiettivi politici: il controllo della terra e l’allontanamento dei palestinesi, ma anche la ridefinizione esterna della leadership ufficiale.
Se a Gaza obiettivo dichiarato è la fine di Hamas come forza militare e di governo, in Cisgiordania c’è un’Autorità senza legittimità né consenso. Ieri il presidente Abu Mazen ha interrotto il viaggio in Arabia saudita per rientrare a Ramallah. Il suo portavoce, Nabil Abu Rudeineh, ha definito i raid «una grave escalation» e chiesto agli Stati uniti di intervenire. Mustafa Barghouti, segretario del National Initiative, parla di «atto di guerra»: «Distruggono condutture idriche, linee elettriche, case, scuole…cosa vogliono? Creare una situazione per cui non ci sarà più possibile vivere nel nostro paese, esattamente il piano dei coloni».

COME NEL 2002 con un Yasser Arafat irrimediabilmente indebolito e umiliato, simili invasioni demoliscono quel che resta di un governo senza sovranità che i palestinesi non amano. Diventerà sempre più complesso cementare un ruolo non fittizio per l’Anp nel dopoguerra. Quel che Israele anela: una leadership ancora più svuotata e controllabile, svuotata e controllabile come i Territori occupati, nel silenzio generale.

* Fonte/autore: Chiara Cruciati, il manifesto



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