Attentato al Nord Stream, l’America alla guerra dei gasdotti

Attentato al Nord Stream, l’America alla guerra dei gasdotti

Loading

Dopo il sabotaggio, al senato Usa Victoria Nuland aveva affermato: «Il Nord Stream 2 ora è un pezzo di metallo in fondo al mare, penso che l’amministrazione Biden sia soddisfatta di saperlo»

 

Un’inchiesta della magistratura tedesca indica un gruppo di ucraini come responsabili del sabotaggio nel settembre 2022 del gasdotto Nord Stream tra Russia e Germania. Secondo una ricostruzione del Wall Street Journal il presidente ucraino Zelensky era al corrente del piano ma avrebbe ritirato il suo consenso su pressioni della Cia.

La verità forse è meno fantasiosa ma sta sotto gli occhi di tutti. All’indomani del sabotaggio, in un’audizione al senato americano il sottosegretario Victoria Nuland aveva affermato: «Penso che l’amministrazione Biden sia molto soddisfatta di sapere che il Nord Stream 2 sia ora un pezzo di metallo in fondo al mare».

Perché è esattamente questo che hanno sempre voluto gli Stati uniti. Si tratta della “guerra dei gasdotti”, un conflitto tra Usa e Russia che viene da lontano. Negli anni Duemila Eni e la russa Gazprom avevano realizzato la pipeline Blue Stream che trasportava il gas dalla Russia alla Turchia attraverso il Mar Nero. E già questo agli americani era piaciuto assai poco. Poi l’Italia nel 2007 (governo Prodi) aveva sottoscritto un altro accordo tra Eni e Gazprom per realizzare il South Stream, un nuovo gasdotto per connettere direttamente Russia e Unione europea, eliminando dal transito ogni Paese extra-comunitario. Il progetto, per il quale Berlusconi aveva raggiunto nel 2009 un‘intesa direttamente con Putin, fu sospeso nel 2014 per le sanzioni a Mosca in seguito all’annessione della Crimea.

Il South Stream venne quindi sostituito dal Turkey Stream, una pipeline realizzata con l’accordo tra Putin ed Erdogan, per altro su fronti contrapposti in Siria, Libia e nel Caucaso. Putin allora fece anche a Erdogan un bello sconto del 6% sulle forniture del gas e la cosa agli americani piacque ancora meno e continua a piacere poco, visto che Ankara è un membro storico della Nato che non applica sanzioni a Mosca.

Figuriamoci poi se Washington poteva gradire il legame tra il gas russo e l’Europa rappresentato dal Nord Stream 1 e 2.
Perché per Mosca si trattava di un’opera dal valore strategico? Prima della costruzione dei due gasdotti Nord Stream, il gas russo passava via terra, attraverso i territori di Ucraina e Bielorussia. Una volta in funzione Nord Stream 2 avrebbe consentito a Mosca di trasportare verso la Germania ulteriori 55 miliardi in metri cubi di gas naturale all’anno. La sua caratteristica principale, quella che poco piaceva agli americani, era di bypassare completamente gli Stati baltici, quelli di Visegrad (Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Ungheria), l’Ucraina e la Bielorussia, spazzando via qualsiasi eventuale pretesa da parte di questi Paesi di fare pressione al tavolo dei negoziati con Mosca.

Per far saltare il Nord Stream 2, prima ancor del sabotaggio del settembre 2022, gli Usa avevano ingaggiato l’uomo giusto, Amos Hochstein, pronto ad approfittare dell’uscita di scena della cancelliera Merkel. Sì, proprio lui, l’attuale inviato americano in Libano. Nato in Israele il 4 gennaio 1973 da genitori con doppia cittadinanza israeliana e americana. Allevato nell’ebraismo ortodosso moderno, Hochstein trascorre infanzia e gioventù in Terra Santa, servendo nelle forze armate israeliane dal 1992 al 1995, per poi trasferirsi negli Stati Uniti. Dal 2011 si occupa dell’Ufficio risorse energetiche del dipartimento di stato diventando il consulente dell’allora vicepresidente Biden sullo spinoso dossier ucraino. Hochstein così entra nel consiglio di supervisione del colosso energetico ucraino Naftogaz. E come tutti sanno il figlio di Biden, Hunter, è stato coinvolto in affari poco chiari nel settore del gas proprio in Ucraina.

Hochstein è lo stratega dell’attacco frontale ai progetti del Cremlino di trasportare il gas in Europa aggirando l’Ucraina. Nel 2021 Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale di Biden, gli affida i negoziati con la Germania per congelare il gasdotto Nord Stream 2, ritenuto un’arma geopolitica del Cremlino da eliminare. La fine è nota. Il cancelliere tedesco Scholz è convocato alla Casa Bianca l’8 febbraio 2022 e Biden proclama: «Non ci sarà più un Nord Stream 2».

Una giornalista presente in sala domanda: «Ma come lo farete esattamente, dal momento che il progetto è sotto controllo della Germania?». Biden alla domanda risponde: «Ve lo prometto, saremo in grado di farlo».
Il 24 febbraio Putin invade l’Ucraina, da il via al massacro e il gasdotto, come dice la magistratura tedesca, verrà poi fatto saltare da un gruppo pro-Kiev che naturalmente non è uscito fuori dal nulla ma ha avuto una copertura politica internazionale.

La guerra dei gasdotti, oltre ovviamente ai costi umani del conflitto in Ucraina, ha avuto e avrà un prezzo economico, soprattutto se Kiev con l’ultima offensiva controllerà effettivamente la stazione di Sudzha, snodo del gasdotto che trasporta il gas russo in Europa attraverso l’Ucraina. La sintesi della guerra dei gasdotti l’ha appena fatta il presidente di Nomisma Davide Tabarelli: l’Italia e l’Europa pagano il gas 40 euro a megawattora, gli Usa solo 7. E via così, a tutto gas…

* Fonte/autore: Alberto Negri, il manifesto



Related Articles

Dove non osano neppure i «falchi»

Loading

L’ingresso a sorpresa di Kadima nel governo e il messianesimo di NetanyahuVoto anticipato. Anzi no Crisi economica e guerra L’ultima settimana della vita politica israeliana è forse la miglior dimostrazione del fatto che le previsioni sono un problema, la democrazia un mito e che i pericoli di una guerra potenzialmente fatale per Israele non sono diminuiti.

Egitto, fuoco sulla folla: morti e feriti

Loading

 Scontri e violenze alle manifestazioni contro Morsi e i Fratelli musulmani

L’Élite che ha scelto i generali contro l’islamizzazione

Loading

Dopo la destituzione del presidente islamico Mohamed Morsi il 3 luglio scorso, un’ondata di «militarismo nazionalista» sembra travolgere le élite intellettuali al Cairo e dintorni: scrittori, giornalisti, uomini di cultura, tutti compatti nel considerare il regime dei militari come il male minore rispetto al potere islamista, persino dopo la carneficina di questi giorni.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment