I numeri del libero mercato connesso con il business bellico sono inequivocabili e non si limitano alla Germania. La reazione a catena investe l’intero business del settore difesa: a Francoforte, prima piazza d’affari dell’Ue, ieri il titolo del colosso tedesco Rheinmetall ha perso il 3,7% del valore mentre il produttore di radar Hensoldt addirittura il 7,6%.

Da qui la cascata di sfiducia sull’italiana Leonardo (-1,68 alla Borsa di Milano), che con Rheinmetall condivide non poche partnership strategiche per la produzione congiunta delle armi commissionate da tutti i governi europei. Ma paga il conto dello stop tedesco anche il norvegese Kingsberg Gruppen (-2,7%) specializzato nella costruzione di lanciatori e sistemi di controllo dei missili. In generale il paniere di titoli della Difesa di Goldman Sachs cede il 3,4%.

«Siamo e rimaniamo il più forte sostenitore dell’Ucraina. Al prossimo G7 lanceremo un prestito da 50 miliardi di euro per Kiev così potrà comprare armi su vasta scala» scrive Scholz sul suo profilo “X”, fuori tempo massimo, quando la frittata finanziaria in Borsa ormai è fatta Non è di sicuro il crollo del business delle armi, cresciuto di ben il 45% da gennaio grazie alle tensioni internazionali, ma indica chiaramente che gli investitori cominciano a vedere la fine della cuccagna degli utili fin qui garantiti dal sostegno incondizionato alla difesa militare dell’Ucraina in cui spicca proprio il governo Scholz.

Vano il tentativo in extremis del ministro della Difesa, Boris Pistorius (Spd): durante l’ultima litigiosa sessione sul bilancio ha provato a opporsi con ogni argomento alla forbice di Lindner. Il braccio “armato” di Scholz, fra gli inventori del formato Ramstein, non rappresenta più l’assicurazione di ferro contro l’austerity imposta dal leader dei liberali che non è certo pacifista ma da segretario di Fdp registra il calo di voti per il suo partito sui sondaggi: non solo i tedeschi sono stanchi della guerra ma lo sforzo finanziario è sempre meno sostenibile sotto il punto di vista della tenuta dei conti pubblici. Su 39,3 miliardi di euro che l’Ue ha girato all’Ucraina dal 2022, 14,7 provengono dalla Germania, come indica l’Ufficio di statistica federale analizzando gli aiuti a Kiev da gennaio 2022 allo scorso 1 luglio.

Più di Regno Unito, Canada, Paesi Bassi e Francia, i più bellicisti ma con i soldi degli altri; questo il dettaglio che Lindner ha fatto notare a Pistorius prima di tagliare le munizioni per l’Ucraina; questo il sottotesto del messaggio politico spedito per opportunità anche agli Usa e al liberale olandese Mark Rutte, neo segretario Nato.

Lindner lo ha spiegato pure alla bellicosa ministra degli Esteri, Annalena Baerbock (Verdi), oltranzista del sostegno illimitato all’Ucraina invasa da Putin fino alla liberazione di tutti i territori invasi. Ma il requiem ai massicci aiuti militari a Kiev, oltre che dagli investitori è scritto nero su bianco in primis nel rapporto interno del ministero della Difesa appena svelato dalla Bild. Interpreta la situazione pratica nello stesso modo della Borsa: «L’esercito ucraino sta finendo le armi tedesche e la Germania non è più nelle condizioni di sostituirle».

In questa cornice il dibattito sull’impiego delle forniture militari di Berlino da parte di Kiev per attaccare in profondità del territorio russo è destinato a consumarsi in parallelo all’usura dei panzer Leopard.

Mentre riparte il caso Nordstream, riacceso dal mandato di cattura della procura tedesca contro un sub ucraino accusato del sabotaggio. Sul tavolo di Baerbock, l’ultima protesta ufficiale del suo omologo russo, Sergey Lavrov. «La Germania deve rispondere a tutte le domande sul caso smettendo di negare i fatti che non abbiamo appreso attraverso i canali ufficiali ma via media. Vergognoso che Berlino abbia deciso di ingoiare così il rospo del Nordstream. L’inchiesta giudiziaria si concluderà con il nulla di fatto».

* Fonte/autore: Sebastiano Canetta, il manifesto