Netanyahu al Congresso e i lotofagi della politica Usa (e italiana)

Netanyahu al Congresso e i lotofagi della politica Usa (e italiana)

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Per avere successo una campagna elettorale americana (e non solo lì) deve contare su un elemento fondamentale, oltre ai soldi: elettori smemorati

 

Per avere successo una campagna elettorale americana (e non solo lì) deve contare su un elemento fondamentale, oltre ai soldi: elettori smemorati. Questo vale anche per il discorso del premier israeliano Netanyahu al Congresso che è stato disertato dalla candidata Kamala Harris, attaccato pesantemente da Nancy Pelosi. Il tutto evidentemente per attirare il voto delle minoranze arabe, musulmane e filo-palestinesi. E meno male che è stato accompagnato dalle proteste vibranti davanti (e dentro) a Capitol Hill violentemente represse con centinaia di arresti, con in prima fila i giovani ebrei contro l’occupazione e dalle parole inequivocabili di Bernie Sanders: “Come Sinwar, Netanyahu è un criminale di guerra”.

L’elettore democratico smemorato infatti deve dimenticare che il Congresso e questa amministrazione Biden in primavera – a massacro di Gaza ampiamente in corso – ha approvato un pacchetto di aiuti militari a Israele di oltre 26 miliardi di dollari. Deve dimenticare che gli Usa hanno aumentato quella potenza militare che già aveva visto l’amministrazione Obama stanziare per Tel Aviv 38 miliardi di dollari. Figuriamoci cosa accadrebbe se dovesse esplodere il fronte con il Libano o incendiarsi il Mar Rosso nel mirino degli Houti yemeniti. Questo è ovviamente l’”asse del male” capeggiato dall’Iran cui fa riferimento Netanyahu per il quale Israele e Stati uniti si dettano reciprocamente la linea della politica estera.

Biden che era salito alla Casa Bianca dicendo di volere riaprire i negoziati con Teheran, dopo che Trump aveva cancellato gli accordi del 2015 voluti da Obama, ben poco ha fatto al riguardo. L’elettore smemorato per dare il suo voto alla Harris deve dimenticarsi pure di questo. Ovvero del fatto che gli Stati uniti sono interessati ad alimentare un clima di scontro perenne in Medio Oriente, esattamente come vuole Israele per giustificare l’occupazione e gli insediamenti nei territori palestinesi. Il clima di apartheid non cambia.

Netanyahu che ieri ha incontrato Biden e la Harris e oggi va da Trump forse non se la passerà così male neppure se vincono i democratici. Certo Trump ha garantito a Israele il riconoscimento di Gerusalemme capitale dello stato ebraico, l’occupazione perenne delle alture siriane del Golan in corso dal 1967, e ha forgiato quel patto di Abramo con le monarchie arabe che per altro Biden ha ereditato in pieno. Il premier israeliano preferisce Trump, vorrebbe evitare elezioni fino a novembre per restare in sella, ma non è detto che poi si troverà tanto peggio con i democratici alla Casa Bianca. Chi oserebbe trattare Netanyahu come un ricercato delle corte penale internazionale, che per altro gli Usa non riconoscono? La politica del doppio standard è destinata a continuare sotto ogni amministrazione americana e le dichiarazioni da campagna elettorale lasciano il tempo che trovano. L’elettore è smemorato per definizione.

Anche da noi qui in Italia si pratica una politica dell’oblio. In concomitanza con la visita a Roma del presidente israeliano Herzog dobbiamo dimenticarci l’Italia ha continuato a fornire armi a Israele anche durante la guerra di Gaza, fare finta di niente sul fatto che l’Eni in ottobre, a ostilità cominciate da settimane, avesse accettato da Tel Aviv un appalto di esplorazione sul gas davanti alla Striscia che appartiene ai palestinesi. Non ne avremmo saputo nulla se non ci fosse stata una denuncia di un studio legale americano. Ignorare, come facciamo del resto regolarmente, che con lo stesso Netanyahu questo governo ha firmato nel marzo 2023 un appalto per la cybersecurity che allora spinse il capo della nostra agenzia alle dimissioni. Silenzio.

Dobbiamo dimenticare le dichiarazioni del ministro della Difesa Crosetto a Gerusalemme quando disse che «gli israeliani avvertono sempre i civili prima dei bombardamenti su Hamas». Deve essere sicuramente così che è accaduto anche il 13 luglio a Gaza quando caccia e droni israeliani hanno bombardato Al Mawasi, che l’esercito aveva indicato come unica zona sicura per gli abitanti della Striscia. Una superficie di 6,5 chilometri quadrati dove Israele vorrebbe rinchiudere un milione e 800mila persone che hanno perso tutto. Il risultato è stato un massacro con dozzine e dozzine di civili uccisi. E la strage continua ogni giorno.

Ma gli italiani, almeno secondo il nostro governo, sono i migliori alleati della politica americana bi-partisan in Medio Oriente. Il nostro tasso di oblio è altissimo e chi osa protestare o anche soltanto ricordare la verità viene trattato come un pericoloso sovversivo. Chi non dimentica sono i palestinesi e i nostri interlocutori arabi nella regione – altro che Piano Mattei – utili nello “scambio” migranti-petrolio, comunque perfettamente consci che l’Italia non ha avuto neppure il coraggio di votare per uno Stato palestinese. Vorrebbero che come i marinai di Ulisse mangiassimo il dolce frutto del loto che, guarda caso, si trovava nel mito dell’Odissea sulle coste libiche. Un porto sicuro, vero?

* Fonte/autore: Alberto Negri, il manifesto

 

 

 

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