La Francia al ballottaggio e la porta d’ingresso dei fascismi

La Francia al ballottaggio e la porta d’ingresso dei fascismi

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Il fatto puro e semplice è che la borghesia francese (e buona parte di quella europea) non ha più alcuna paura delle forme contemporanee di fascismo. Le formazioni di destra radicale prosperano sull’avvenuto divorzio tra liberismo e principi liberali

 

Il conto dei seggi da conquistare al ballottaggio del 7 di luglio resta un arduo esercizio acrobatico. Le incognite sono molteplici, le previsioni del tutto azzardate. Ma su quello che è accaduto nella società francese, nonché in buona parte d’Europa, le indicazioni non mancano.

Così come non è un mistero da dove provenga la minaccia che può condurre l’estrema destra al governo di Parigi. Non da un proletariato incattivito dalla crisi, non da una società sulla quale incombano pericoli reali e nemmeno dal sempre citato disorientamento indotto dalla globalizzazione.

La cartina di tornasole si chiama Eric Ciotti, il gaullista che pur al prezzo di spaccare il suo partito ha abbracciato la causa del Rassemblement national. Cosa ci manda a dire questo tristo personaggio?

Il fatto puro e semplice che la borghesia francese (e buona parte di quella europea) non ha più alcuna paura delle forme contemporanee di fascismo.

Non si preoccupa che il nazionalismo o la xenofobia possano intralciare i commerci e lo sfruttamento del lavoro, non tiene più di tanto all’estensione dei diritti individuali come fattore di sviluppo (per non parlare di quelli sociali) e ha il solo interesse che i suoi intenti, per quanto megalomani, e le sue azioni, per quanto spregiudicate, siano al riparo da limitazioni e interferenze.

Il volto del capitalismo contemporaneo, più che quello di una classe con la sua filosofia di comodo, ma in qualche modo universalistica, è quello arrogante e sfacciato dei Bolloré e dei Musk.

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Non a caso numi tutelari dell’estrema destra che, se fossero russi, non esiteremmo a chiamare oligarchi. Questo non vuole naturalmente dire che il Rassemblement national non goda di un forte seguito di popolo maltrattato dal macronismo e non risponda alle frustrazioni di una piccola borghesia declassata e incarognita. Ma il pifferaio e le promesse della sua musica provengono decisamente dall’alto delle élites che, dopo aver sdoganato l’estrema destra, ora trovano il modo di servirsene.

In poche parole, le formazioni della destra radicale prosperano sull’avvenuto divorzio tra liberismo e principi liberali, esattamente il fattore che mette fuori gioco la cosiddetta destra moderata, e che precipita nel ridicolo la retorica repubblicana del presidente Macron.

Ma veniamo al dunque.

L’esito del ballottaggio dipenderà in buona misura da quanta parte della borghesia schierata nelle file di Macron (e di chi ne ascolta la voce) propenderà per lo stato d’animo dei gaullisti di Ciotti, scegliendo di affidarsi a un’avventura nazionalista con salde radici reazionarie piuttosto che rischiare, non certo l’avvento del bolscevismo, ma un blando ritorno di politiche keynesiane e socialdemocratiche.

La demonizzazione della sinistra a opera dei centristi e di Macron lavora da anni a favorire, in casi estremi, una propensione tematica per la destra e non è facile intraprendere un brusco cambio di rotta quando ci si accorge tardivamente che le truppe nemiche sfondano da tutt’altra parte e che rappresenterebbero una ben più pericolosa soluzione di continuità.

Resta il fatto che il Nuovo fronte popolare rappresenta il solo argine credibile alla conquista del potere da parte dell’estrema destra e questo ha un peso rilevante nell’opinione pubblica francese.

Nonostante si sia fatto ricorso a ogni argomento possibile e impossibile per sottrarre consensi alla sinistra. A partire dall’antisemitismo di cui si sarebbe macchiato il partito di Mélenchon, laddove il Rassemblement national, storicamente pervaso da sentimenti razzisti e antisemiti, ne viene dichiarato indenne in quanto sostenitore del governo israeliano.

L’argomento è puramente strumentale potendosi trovare tracce di antisemitismo, così come intransigenti condanne del medesimo, praticamente in tutto lo spettro politico francese, in proporzione comunque assai minore del razzismo antiarabo che prospera a destra.

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Ma come ormai dovrebbe essere chiaro a tutti il problema non è l’antisemitismo (che ha sempre preso di mira gli ebrei e la loro cultura e non la politica di uno stato), ma l’obbligo di astenersi da ogni condanna del governo di Tel Aviv e del massacro della popolazione palestinese a Gaza e in Cisgiordania.

* Fonte/autore: Marco Bascetta, il manifesto



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