Il salvagente dell’immunità a Trump: un’altra macchia della Corte Suprema USA

by Domenico Maceri * | 5 Luglio 2024 8:53

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La decisione della Corte Suprema sui poteri presidenziali assesta un colpo al sistema dei contrappesi poiché conferisce al presidente poteri che potrebbero essere abusati senza nessuna conseguenza

 

“In America non ci sono re, tutti sono uguali davanti alle legge”. Così il presidente Joe Biden subito dopo la sentenza della Corte Suprema sull’immunità presidenziale nel caso di Donald Trump. I togati, con un voto di 6-3, seguendo le linee ideologiche della maggioranza che pende a destra, hanno concesso una forte dose di immunità al presidente che lo avvicinano ai poteri monarchici o persino dittatoriali.

Il presidente della Corte Suprema John Roberts, scrivendo per la maggioranza, ha detto che il presidente Usa gode di “immunità assoluta” per tutto il suo operato della sua carica contenuta nel “nucleo dei suoi poteri costituzionali”. Gode dunque di immunità da possibili accuse penali per atti ufficiali della sua carica. Gli atti non ufficiali vengono esclusi dall’immunità. Roberts continua asserendo che prove ottenute da atti ufficiali non possono essere usate in eventuali processi. Roberts ha spiegato che l’immunità presidenziale è necessaria per avere un “potere esecutivo energico e indipendente” e per evitare che il potere esecutivo si “cannibalizzi” con ex presidenti soggetti a possibili abusi dei loro successori.

La giudice Amy Coney Barrett, che ha votato con la maggioranza, ha però chiarito specificando che le azioni ufficiali non comportano “autorità sulle legislature statali o la loro leadership”. La Barrett ha aggiunto specificamente che Donald Trump potrebbe essere incriminato nei suoi rapporti con “lo speaker della legislatura dell’Arizona” nei tentativi di ribaltare l’esito dell’elezione del 2020.

I sei giudici che hanno composto la maggioranza sono stati nominati da presidenti repubblicani e tre di loro proprio da Trump (Barrett, Neil Gorsuch, e Brett Kavanaugh). Le tre giudici che hanno votato contro la decisione sono state nominate da presidenti democratici. Spicca fra queste il vigoroso dissenso di Sonia Sotomayor la quale ha scritto che la decisione della maggioranza rappresenta “una presa in giro” al concetto che nessuno è al di sopra della legge. Il ragionamento della maggioranza conferisce al presidente la legalità di fare “assassinare i suoi avversari politici”, secondo Sotomayor. Se il presidente tenta un golpe per mantenersi al potere, continua la giudice, o accetta una tangente per vendere una grazia, sarebbe anche immune. La Sotomayor firma il suo dissenso senza il tradizionale “Respectfully” (Con tutto il rispetto), scrivendo invece “Con paura per la nostra democrazia, dissento”.

Trump ha interpretato la decisione con gioia annunciando di essere fiero della democrazia americana. Con lettere cubitali si è dichiarato “esonerato” di tutti i suoi casi giudiziari. Come spesso fa le spara grosse. Ovviamente la decisione della Corte ha ritardato il più a lungo possibile i suoi processi. Ci sono voluti sei mesi per raggiungere la decisione che è stata annunciata all’ultimo minuto della sessione della Corte Suprema prima di andare in vacanze. I processi però continueranno anche se non si prevedono inizi prima dell’elezione di novembre. La Corte Suprema non ha chiarito esattamente la differenza tra azioni ufficiali e non ufficiali di Trump, lasciando il compito ai tribunali subalterni. Nel caso dei tentativi di ribaltare l’esito dell’elezione del 2020 che si svolge a Washington D. C. la giudice Tanya Chutkan riprenderà il caso con udienze per determinare ciò che potrebbe essere ammissibile nell’eventuale processo. Queste udienze dovrebbero avvenire nelle prossime settimane e in uno strano senso si convertirebbero in un mini processo ma senza giuria. Le due parti discuterebbero il materiale ammissibile separandolo da quello coperto dall’immunità. Con ogni probabilità Trump farebbe ricorso di nuovo alla Corte Suprema per tentare di ritardare il caso. La giudice Chutkan però aveva dichiarato che il lavoro dell’imputato non ha precedenza sull’imputazione. Quindi potrebbe darsi che il processo avvenga poco prima dell’elezione anche se non è previsto.

Trump ha però già vinto in alcuni casi con i ritardi. La sentenza nel caso della pornostar Stormy Daniels e falsificazioni di documenti, per cui era stato condannato per 34 capi di accusa, programmata per l’undici luglio, è stata rimandata al 18 settembre. Il rinvio si deve al compito di determinare se esistono parti del processo che sarebbero atti ufficiali. Sembra che i fatti, essendo avvenuti prima dell’insediamento quando Trump era un semplice cittadino privato, non verrebbero esclusi a meno che firmare gli assegni dalla Casa Bianca per comprare il silenzio della Daniels non venisse considerata mansione presidenziale ufficiale. Per quanto riguarda il caso dei documenti top secret mantenuti illegalmente da Trump in corso a Miami si tratterebbe anche di azioni avvenute dopo la fine del suo mandato e quindi non coperte dall’immunità. Rimane il terzo caso penale in Georgia che includerebbe azioni coperte dall’unanimità e altre no. La decisione della Corte Suprema non menziona nulla sui casi civili quindi dovrebbero seguire l’iter di appelli normali il caso di condanna su E. Jean Carroll per aggressione sessuale e quello di frode fiscale dello Stato di New York. Per ambedue casi Trump ha dovuto fornire cauzioni di più di 500 milioni di dollari che potrebbero costargli care in caso di perdita agli appelli.

La decisione della Corte Suprema sui poteri presidenziali assesta un colpo al sistema dei contrappesi poiché conferisce al presidente poteri che potrebbero essere abusati senza nessuna conseguenza. La richiesta di immunità presidenziale non era mai stata fatta da un presidente americano. Solo Trump, un individuo già condannato in due casi civili e uno penale, ne ha fatto richiesta e in grande misura, una Corte già con poca legittimità, gliel’ha concessa. Lo ha fatto non su basi giuridiche poiché non esistono nei testi della costituzione. I padri fondatori nella dichiarazione di indipendenza americana erano preoccupati dalla tirannia di poteri assoluti monarchici e sul fatto che nessuno è al di sopra della legge. Un concetto basico accettato da Roberts, Alito, e Barrett durante le loro audizioni di conferma al Senato. Tutti e tre hanno specificamente dichiarato che nemmeno il presidente è al di sopra della legge.

Questa decisione della Corte Suprema, come quella sull’eliminazione all’aborto di due anni fa, aggiungono un’altra macchia alla Corte Suprema attuale la cui fiducia continua a diminuire. Come tante altre decisioni verrà ribaltata da una futura Corte Suprema. La questione rimane quanto tempo ci vorrà per metterla nel cestino di tante altre decisioni della Corte che ai nostri occhi appaiono abominevoli.

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* Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della  National Association of Hispanic Publications.

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