Gaza. Il “cessate il fuoco” secondo Israele: in una settimana 530 uccisi

by Sabato Angieri * | 18 Luglio 2024 9:56

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Pesante escalation militare. L’Unrwa denuncia: otto scuole colpite dal 7 luglio. Erano diventate rifugio agli sfollati palestinesi. Netanyahu: «I rapiti stanno soffrendo, non morendo». L’ira delle famiglie

 

I raid israeliani a Gaza hanno ucciso almeno 81 palestinesi nelle ultime 48 ore. L’aviazione di Tel Aviv ha anche attaccato un’altra delle scuole gestite dalle Nazioni unite nel campo profughi di Nuseirat, nel centro di Gaza, uccidendo 23 persone e ferendone almeno 70.

La scuola si trovava in una delle cosiddette «zone sicure» designate da Israele. Secondo l’Unrwa il 95% delle scuole costruite dall’Onu era usato come rifugio dagli sfollati interni della Striscia e, a causa degli attacchi degli ultimi giorni, «8 di questi edifici su 10 sono ormai inutilizzabili», come ha chiarito il Commissario generale dell’Unrwa Philippe Lazzarini su Twitter. Quest’ultimo è tornato a chiedere un «cessate il fuoco immediato», affermando che gli attacchi israeliani alle scuole sono diventati «un fatto quasi quotidiano».

DA RAFAH agli insediamenti più a nord sono stati almeno 25 i bombardamenti israeliani dell’ultimo giorno e uno di questi ha colpito la moschea Abdullah Azzam, a nord del campo profughi di Nuseirat. Nel complesso, stando ai dati pubblicati da Al Jazeera, nell’ultima settimana a Gaza i bombardamenti israeliani hanno causato la morte di almeno 530 civili, portando il computo totale delle vittime dal 7 ottobre a oggi a oltre 38.700 palestinesi.

Al Consiglio di Sicurezza straordinario dell’Onu che si è tenuto ieri al Palazzo di vetro di New York, il rappresentante dell’Autorità nazionale palestinese Mansour ha parlato del «più documentato genocidio della storia».

Malgrado questo bilancio tragico, secondo il ministro della difesa israeliano Yoav Gallant, che ieri ha parlato al telefono con l’omologo statunitense Lloyd Austin: «gli attacchi militari israeliani sulla Striscia hanno permesso di creare condizioni favorevoli per il raggiungimento di un accordo di liberazione dei prigionieri con Hamas». Il quale, sempre secondo Gallant «è il più alto imperativo morale in questo momento».

I due ministri hanno discusso del «desiderio condiviso» di Usa e Israele per la «sconfitta definitiva di Hamas», il che nelle dichiarazioni ufficiali dei rispettivi uffici stampa è diventato il fulcro della strategia per il prossimo futuro a Gaza. Austin, riportano le agenzie di stampa, ha anche sottolineato l’importanza dell’aumento del flusso di assistenza umanitaria a Gaza «attraverso tutti i valichi terrestri» e il porto israeliano di Ashdod, con l’imminente chiusura permanente del molo temporaneo costruito dagli Usa al largo della costa di Gaza.

Non la pensa allo stesso modo il capo del governo di Tel Aviv. Benjamin Netantahu ha dichiarato, durante una riunione di gabinetto, che «non c’è motivo di allarmarsi perché i rapiti stanno soffrendo, ma non stanno morendo».

Il Forum delle famiglie degli ostaggi e dei dispersi israeliani ha chiesto al premier di «spiegare immediatamente» le sue affermazioni, etichettandole come «non solo profondamente offensive per le famiglie degli ostaggi, ma anche inesatte e pericolosamente irresponsabili». «La triste realtà è innegabile – si legge nel comunicato del Forum – Altri ostaggi potrebbero perdere la vita proprio in questo momento».

I MEDIA israeliani ritengono che ci siano almeno 120 ostaggi ancora a Gaza dei quali, secondo l’esercito di Tel Aviv, 42 sono morti. Netanyahu, tuttavia, ritiene che Israele «sta facendo progressi sistematici verso il raggiungimento degli obiettivi della guerra», ma che serve «pressione, più pressione».

Nella sola giornata di ieri 5 palestinesi sono stati uccisi nel bombardamento di un’abitazione civile ad Abasan, a est Khan Younis, 9, di cui 3 bambini, sono caduti a seguito di un raid nei pressi della scuola Cairo, nel quartiere di al-Remal, a ovest di Gaza City. Altri 8 morti si registrano nell’attacco alla moschea di Nuseirat, e 2 a ovest di Rafah, per citare solo i centri principali. In ogni caso, l’esercito israeliano ritiene che «metà della leadership dell’ala militare di Hamas è stata eliminata e circa 14 mila membri delle Brigate Al Qassam sono stati uccisi o catturati».

Il fatto è, come sostengono l’Istituto per gli Studi sulla Guerra (Isw) e il Critical Threats Project (CTP) statunitensi, che non si può avere la certezza che i dati riportati dalle forze armate di Tel Aviv siano effettivi. Ad esempio, rispetto all’attacco ad al-Mawasi di sabato scorso, che ha causato la morte di 90 persone e il ferimento di altre 300 (per lo più donne e bambini), i centri studi Usa sostengono che non ci siano prove per confermare la morte di Mohammed Deif, il capo delle al-Qassam, come sostiene Israele.

Sia con le prove sia senza, risulta ormai evidente che la strategia di Tel Aviv è mutata nuovamente e che da almeno una settimana i bombardamenti si sono intensificati di numero e potenza distruttiva, portando con sé una nuova ondata di uccisioni di massa.

* Fonte/autore: Sabato Angieri, il manifesto[1]

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