G20. Lula vince la sua battaglia: «Patrimoni da tassare»
Nel documento finale del vertice un riferimento chiaro. Ma ancora troppo generico. I paesi sono però divisi su chi dovrà stabilire la tassazione: per Brasile e Sud Africa (prossimo presidente del consesso) deve essere l’Onu, per gli Stati uniti tocca all’Ocse
Il dubbio, come al solito, è che ci sia molto più fumo che arrosto nella dichiarazione congiunta, da più parti definita «storica», approvata dal vertice dei ministri delle Finanze del G20 che si è concluso giovedì a Rio de Janeiro.
Di sicuro, un passo avanti rispetto alla tassazione dei super-ricchi è stato fatto: il documento, infatti, riconosce l’importanza che tutti i contribuenti, compresi i miliardari, «paghino la loro giusta parte di imposte», a garanzia di una maggiore equità dei sistemi fiscali.
DA QUI L’IMPEGNO evidenziato dalla dichiarazione: «Nel pieno rispetto della sovranità fiscale, cercheremo di impegnarci in modo cooperativo per garantire che gli individui con un patrimonio netto molto elevato siano effettivamente tassati». Con l’auspicio di «continuare a discutere tali questioni all’interno del G20 e in altri forum rilevanti».
Si tratta, sicuramente, di un punto a favore del governo Lula, per il quale l’inclusione di una tassa sui miliardari nell’agenda del G20 era una priorità assoluta (insieme al lancio dell’Alleanza globale contro la fame e la povertà su cui è stato raggiunto un consenso pieno). Ora su tale questione esiste «un documento ufficiale delle 20 nazioni più ricche del mondo. E non è cosa da poco», ha dichiarato il ministro delle Finanze brasiliano Fernando Haddad, convinto che le richieste di «nuove fonti di finanziamento per la transizione ecologica e per la lotta alla povertà» siano già cresciute nel mondo e che «la pressione e la mobilitazione sociale intorno a tale programma aumenteranno in modo analogo», come già dimostra del resto il milione e mezzo di firme a supporto di un prelievo più consistente sui maggiori patrimoni consegnato ad Haddad in occasione del vertice di Rio.
L’URGENZA È RICONOSCIUTA del resto, almeno a parole, anche dalla dichiarazione, laddove si legge per esempio che, «nella misura in cui le sfide relazionate con i cambiamenti climatici accelerano in tutto il mondo, aumentano anche i costi finanziari della costruzione della resilienza climatica in ogni paese». E di certo il Brasile, ha assicurato Haddad, continuerà a insistere su questo tema, anche in dialogo con il Sudafrica, che gli succederà alla presidenza del G20 alla fine dell’anno.*
DI «UN SIGNIFICATIVO PASSO in avanti per la cooperazione internazionale in materia fiscale» ha parlato anche Mikhail Maslennikov, policy advisor sulla giustizia fiscale di Oxfam Italia, evidenziando la «presa d’atto condivisa» del fatto che «oggi i super ricchi, a fronte di un’accresciuta concentrazione di ricchezza e potere, concorrono in modo insufficiente al finanziamento delle politiche pubbliche, derogando in larga parte al dovere di solidarietà sociale cui ciascuno di noi è chiamato. Uno status quo che contribuisce ad esasperare le disuguaglianze, minare la coesione sociale e la tenuta stessa dei sistemi democratici».
MA, HA AGGIUNTO, ORA dalle parole bisogna passare ai fatti concreti, rafforzando lo scambio di informazioni al fine di «ricostruire pienamente i patrimoni individuali globali» e di ostacolare l’occultamento offshore dei capitali. E arrivando a un accordo, per nulla semplice, «su uno standard globale che garantisca una più equa e progressiva tassazione degli ultra ricchi»
Ed è proprio sui fatti concreti che iniziano i problemi, a partire dall’individuazione dell’istanza in cui l’impegno cooperativo garantito dalla dichiarazione dovrebbe essere portato avanti: le Nazioni unite, come chiede il Sud globale, o l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), cioè il club dei paesi ricchi, come vuole invece la segretaria del Tesoro Usa Janet Yellen.
* Fonte/autore: Claudia Fanti, il manifesto
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