Secondo il quotidiano israeliano Haaretz le vittime hanno tutte tra i 10 e i 20 anni: i razzi sono caduti nei pressi di un campetto di calcio. «L’incidente più serio contro i civili nel nord di Israele dall’inizio della guerra» commenta il quotidiano. Per l’esercito e il ministro degli esteri israeliani è senza dubbio Hezbollah responsabile dell’attacco. Hezbollah, da parte sua, ha negato ufficialmente qualunque coinvolgimento con un comunicato: «la Resistenza Islamica non ha nulla a che fare con l’incidente (…) e nega categoricamente tutte le accuse mosse dai media nemici e da altri media sull’attacco a Majdal».

IL PRIMO MINISTRO ad-interim Najib Mikati ha rilasciato una dichiarazione di «condanna di qualunque atto di violenza e attacco contro i civili» e ha chiesto una «immediata cessazione delle ostilità su tutti i fronti». La dichiarazione ribadisce che «attaccare civili costituisce una violazione fragrante delle leggi internazionali e è incompatibile con i principi di umanità».

Hezbollah ha però rivendicato altri attacchi – nel Golan e nelle Fattoria Sheeba occupati, in direzione della brigata Hermon e a Beit Hillel, contro il battaglione Sahl – in risposta all’uccisione dei quattro miliziani, così come ha fatto Israele (attacchi a Houla e Makraba, a Bint Jbeil).

Il confronto tra Hezbollah e l’esercito israeliano è cominciato l’8 ottobre, all’indomani dell’inizio della guerra a Gaza. Un confronto limitato principalmente alle zone vicine al confine da una parte e dall’altra, nonostante le svariate incursioni aeree di Israele nella valle della Beka’a (nel Libano orientale), a Sidone (poco a sud di Beirut) e un attacco il 2 gennaio scorso nella periferia di Beirut al quartier generale di Hamas nella capitale. Tutti attacchi mirati.

A giugno la tensione è stata particolarmente alta, quando Israele si è dichiarato pronto a un attacco imminente e Hezbollah, per bocca del suo leader assoluto Hassan Nasrallah, si è detto altrettanto pronto e capace di sostenere un attacco via terra, mare e aria in tutto il nord del paese.

I combattenti di Hezbollah uccisi dall’inizio del conflitto a oggi sono 384, mentre i soldati dell’esercito israeliano uccisi sono 24 e una sessantina i feriti. Oltre cento i civili libanesi vittime degli attacchi israeliani e una quindicina fino a ieri i civili israeliani uccisi nel nord del paese da Hezbollah o dalle altre milizie coinvolte nel conflitto. Centomila da una parte e altrettanti dall’altra gli sfollati senza una data certa di ritorno a casa.

Il capo della missione e Force Commander di Unifil, il maggiore generale spagnolo Aroldo Lazaro, si è da subito messo in contatto con le autorità competenti libanesi e israeliane per evitare un’escalation.

QUESTI FATTI avvengono in un momento particolarmente delicato del conflitto su entrambi i fronti, Gaza e il confine libano/israeliano, sia dal punto di vista militare, che politico. Il governo israeliano si trova a fare i conti con un crescente, seppur minoritario, dissenso interno e con un’apparente rivalutazione dell’appoggio incondizionato ricevuto da parte degli Stati uniti fino a questo momento.

Dal lato libanese, il paese ha una situazione politica stagnante con un governo ad interim dai poteri limitati, senza un presidente della repubblica da quasi due anni, alle prese con la peggiore crisi economico-finanziaria della sua storia dall’ottobre 2019.

L’allargamento del conflitto al Libano intero – e non più solo alle zone interessate fino a questo momento e controllate in linea di massima da Hezbollah – rappresenterebbe una nuova fase della guerra che coinvolgerebbe in misura completamente diversa rispetto a ora molti attori regionali e internazionali. Insomma, il rischio sarebbe un conflitto regionale, data anche la specifica natura del Libano che di fatto concentra importanti interessi internazionali.

* Fonte/autore: Pasquale Porciello, il manifesto[1]