Messico. Infrastrutture sulla pelle degli indigeni, dal Tren Maya al Corredor Interoceánico

Messico. Infrastrutture sulla pelle degli indigeni, dal Tren Maya al Corredor Interoceánico

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Il silenzio degli zapatisti, le proteste delle comunità native: sfruttatori come gli altri. La critica a Claudia e Amlo: sviluppisti neoiberisti, ma con un ampio consenso della popolazione

 

Mentre nel 2018 la popolazione messicana celebrava il trionfo elettorale di Andrés Manuel López Obrador, gli zapatisti, in decisa controtendenza, emettevano il loro verdetto: «Potranno cambiare il capataz, i servitori e i capisquadra, ma il proprietario continuerà a essere lo stesso». Sei anni dopo, l’esercito zapatista, a cui Amlo non è sicuramente riuscito a far cambiare idea, ha scelto la via del silenzio. Niente dichiarazioni sul processo elettorale, né sul trionfo della fedelissima di López Obrador, Claudia Sheinbaum.

Un silenzio che grida contro la voragine di violenza a cui sono esposte le comunità indigene zapatiste e contro tutto ciò che, al di là dei proclami di Amlo, è rimasto immutato (o è addirittura peggiorato) sotto il governo della cosiddetta «quarta trasformazione». In silenzio però non è rimasto il Congresso nazionale indigeno (Cni), che, in un comunicato di metà maggio, ha parlato di «farsa elettorale» denunciando la guerra capitalista contro i popoli indigeni da parte di un potere economico e politico impegnato a sostenersi «con la militarizzazione, con l’impunità e con l’accumulazione di ricchezza nelle mani di pochi al servizio delle transnazionali».

Altro che «quarta trasformazione»: quella che c’è stata, ha evidenziato il Cni, è una «trasformazione di quarta categoria» che ha consentito ai gruppi paramilitari e al crimine organizzato di «operare con totale impunità come garanti dell’imposizione di megaprogetti di morte». Come il Tren Maya, chiamato a collegare le principali aree turistiche di cinque stati del Sudest messicano attraverso la foresta umida tropicale mesoamericana. O come il Corredor Interoceánico, la grande infrastruttura ferroviaria pensata per mettere in collegamento gli oceani Pacifico e Atlantico, offrendo un «canale terrestre» alternativo a Panama. O anche come il Proyecto Integral Morelos, che prevede, tra molto altro, la costruzione di una centrale termoelettrica nella comunità di Huexca e di un gasdotto che dovrebbe passare per le falde del vulcano Popocatépetl, malgrado la sua costante attività sismica: un enorme progetto energetico contro cui Amlo, prima di assumere la presidenza, si era tenacemente opposto, perché diceva, sarebbe stato come costruire «una centrale nucleare a Gerusalemme».

Dal 2018, ha denunciato María de Jesús Patricio, nota come Marichuy, la prima aspirante indigena alla presidenza del Messico proprio sei anni fa, «è diventato tutto più difficile per chi lotta per la difesa del territorio». Perché la strategia neoliberista di controllo e saccheggio dei territori è la stessa dei tanto vituperati governi precedenti, ma non incontra ostacoli perché può vantare il sostegno di buona parte della popolazione.
Ai popoli indigeni, Claudia Sheinbaum ha promesso mari e monti, assicurando il riconoscimento della loro autonomia, delle loro forme di organizzazione, del loro potere decisionale sulle risorse naturali dei loro territori. Ma intanto ha già annunciato che amplierà il Tren Maya (o meglio, come lo definiscono i popoli indigeni, il «treno erroneamente definito maya»), chiudendo anche lei gli occhi sul suo incalcolabile impatto ambientale – tra disboscamenti selvaggi, ecosistemi compromessi, terreni espropriati, popolazioni sfollate – e sulla vertiginosa lievitazione dei suoi costi. E, in perfetto stile Amlo, si è scagliata contro artisti e cantanti aderenti alla campagna “Selvame del Tren”, accusandoli di essere «male informati».

E ugualmente la vincitrice delle elezioni si è impegnata a estendere il Corredor Interoceánico fino a Tapachula, alla frontiera con il Guatemala, rafforzando i 12 parchi industriali del Sudest e creando altri dieci poli di sviluppo, incurante delle denunce dell’Assemblea dei popoli indigeni dell’Istmo di Tehuantepec contro quello che viene definito «un progetto segnato da corruzione, menzogne, violenza e saccheggio».

* Fonte/autore: Claudia Fanti, il manifesto



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