La sicurezza, un’arma nelle mani di un governo senza limiti

La sicurezza, un’arma nelle mani di un governo senza limiti

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Il disegno di legge sulla sicurezza attualmente in discussione alla Camera, segna un radicale cambio di passo rispetto agli approcci securitari degli ultimi trent’anni, ora si punta alle libertà politiche

 

Il disegno di legge sulla sicurezza attualmente in discussione alla Camera, segna un radicale cambio di passo rispetto agli approcci securitari degli ultimi trent’anni. Se prima si puntava quasi esclusivamente al cosiddetto decoro e alla sicurezza urbana, col varo di un ampio ventaglio di provvedimenti amministrativi e legislativi rivolti alla repressione criminalità di strada e delle “inciviltà urbane”, adesso si punta alle libertà politiche. In particolare, ci sembra opportuno soffermarci su alcuni degli aspetti più significativi del provvedimento.

Il punto di raccordo tra il vecchio e il nuovo securitarismo riguarda l’articolo 20 del Ddl, che amplia i poteri delle forze di polizia. I membri delle forze dell’ordine godranno della prerogativa di potere utilizzare, fuori servizio, le armi di cui dispongono a titolo personale. Un provvedimento che allarga a dismisura i poteri discrezionali delle forze di polizia, scavalcando le limitazioni poste dalla legge e le regole d’ingaggio. Essere membro delle forze dell’ordine conferirà la qualifica per valutare se una situazione sia turbativa dell’ordine pubblico e se è il caso di utilizzare le armi, rischiando di moltiplicare abusi e repressioni in modo esponenziale.

Il Ddl si spinge oltre, introducendo l’articolo 634-bis, rivolto agli occupanti di immobili altrui, introducendo sanzioni penali da 2 a 7 anni di reclusione. Al di là dell’eccesso delle pene, che va in direzione delle scelte muscolari della compagine governativa, è palese l’intento da parte dell’esecutivo di prevenire ogni possibile conflitto in merito ai problemi relativi agli alloggi, agli spazi e alla gestione del territorio. La proprietà privata appare come un feticcio da tutelare a tutti i costi, contro chi pone la questione dei bisogni sociali, come gli alloggi, e di un uso condiviso degli spazi urbani.

Il terzo punto riguarda le misure di contrasto al terrorismo e alla criminalità organizzata, attraverso l’articolo 270 ter e il comma 2 dell’articolo 435. Non si interviene sulla commissione effettiva di atti terroristici o mafiosi, bensì sul possesso, la distribuzione e la divulgazione di materiali che illustrano come preparare atti terroristici. Anche in questo caso, la discrezionalità appare ampia e pericolosa: si possono possedere certi materiali per motivi di studio, o averli ricevuti, per esempio, per strada, senza badare al contenuto. Sembra di trovarsi davanti ad una riedizione della teoria dei cattivi maestri degli anni ‘70, nella misura in cui la discussione e la circolazione di certe tematiche rappresentano un elemento predittivo delle cattive intenzioni individuali o collettive da parte di chi le porta avanti.

Last but not least, sortisce preoccupazione l’introduzione del reato di rivolta penitenziaria, previsto dall’articolo 18. Un provvedimento che appare come il collettore delle altre misure previste dal decreto. Aumentano le tipologie di reato, le pene edittali, quindi anche il sovraffollamento. Carceri più invivibili, dovranno essere governate a mezzo della disciplina e diventare in misura maggiore luoghi di afflizione. Continuare ad opporsi, dopo che si è stati arrestati e condannati, viene letto dal governo come un grave atto di pervicacia, da punire anche nel caso in cui la resistenza sia passiva o individuale. Due secoli e mezzo dopo Thomas Paine, e il suo common sense, che raccomandava la ribellione contro istituzioni e leggi ingiuste, l’esecutivo ribalta le fondamenta della democrazia. Attraverso un provvedimento propagandistico, che riduce i diritti fondamentali a mero optional, il governo punta a legittimarsi tra i fautori di legge ed ordine, criminalizzando i comportamenti di ampie fasce di popolazioni, e creando le condizioni per l’inasprimento della conflittualità. Da parte nostra, continuiamo a pensare che Thomas Paine avesse ragione.

* Fonte/autore: Vincenzo Scalia, il manifesto



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