Argentina. La legge di Milei: accordi sottobanco e manganelli
Passa la Ley Bases: privatizzazioni selvagge e superpoteri al capo. Scontri davanti al Congresso. Intervista allo storico Adamovsky
BUENOS AIRES. È passata a colpi di manganello, gas lacrimogeni e oscuri accordi sottobanco la Ley Bases di Javier Milei. Il testo, profondamente riformato rispetto a quello originale presentato nel dicembre scorso e allora bocciato alla Camera, prevede comunque la concessione di poteri legislativi straordinari al presidente, apre le porte alla privatizzazione di buona parte delle aziende statali, e soprattutto concede ampie agevolazioni fiscali agli investitori internazionali, largamente favoriti di fronte ai propri competitor nazionali. Per gli ultra-liberisti anti-stato al potere un successo a tutto campo, nonostante le concessioni fatte a governatori e opposizioni.
«DAL SUO INSEDIAMENTO, il presidente Milei non ha mandato nessun’altra legge al Congresso, solo questa che include centinaia di norme diverse, mentre altrettante riforme sono state imposte via decreto», ci spiega lo storico Ezequiel Adamovsky. «La strategia è stata quella di non inviare leggi individuali che il Congresso potesse approvare o rifiutare. L’approvazione di mercoledì dimostra che il Congresso sta in realtà sostenendo questo governo, fornendogli gli strumenti richiesti. L’idea che Milei stia governando in solitaria, senza l’appoggio della struttura politica tradizionale, è falsa. Il Congresso ha appena concesso la delega di facoltà straordinarie a un presidente che dichiara che il suo principale obiettivo è distruggere lo stato».
L’unico elemento innovativo di cui questo governo può vantarsi è la vocazione di distruggere per intero l’apparato statale, eccezion fatta per il sistema repressivo
Anche i principali sondaggi danno conto di un discreto sostegno di cui gode il governo anarco-capitalista argentino (che vanta circa il 49% di immagine positiva). Nonostante i calamitosi risultati economici: un’inflazione accumulata da dicembre 2023 del 69%, una svalutazione del peso superiore al 25%, il 55% della popolazione sotto la soglia della povertà.
Per Adamovsky però si tratta di un panorama già visto nella storia recente argentina. «Oggi ci troviamo immersi in un ciclo storico che si protrae da cinquant’anni, da quando i militari hanno preso il potere con la forza nel 1976. In questo periodo, governi civili e militari hanno cercato di applicare programmi che smantellano la capacità di regolazione dello stato, distruggono i diritti dei lavoratori, trasferiscono la ricchezza nelle mani dei settori esportatori e finanziari, e cancellano i diritti sociali. Fino ad ora, l’orientamento della politica economica di Milei è estremamente simile a quello degli altri periodi neoliberisti dell’Argentina. L’unico elemento innovativo di cui questo governo può vantarsi è la vocazione di distruggere per intero l’apparato statale, eccezion fatta per il sistema repressivo».
SECONDO LO STORICO, il periodo che va dal 2002 al 2015 rappresenta però una breve eccezione, «perché la ribellione scaturita dalla crisi scoppiata nel 2001 ha impedito una nuova avventura nel senso neoliberista del termine, aprendo invece la possibilità di una politica diversa».
Per più della metà degli ultimi cinquant’anni però, il ministero dell’economia è stato in mano a economisti di orientamento liberale ortodosso, con effetti chiaramente negativi per l’Argentina. «La società attuale è impoverita, frammentata, irriconoscibile per un osservatore proveniente dal 1970, quando l’Argentina era un paese totalmente diverso, con un tasso di povertà bassissimo, senza un debito estero pressante, con una distribuzione del reddito molto più equa e uno sviluppo industriale incalzante. Negli ultimi cinquant’anni, questa tendenza ha subito una vera e propria inversione di rotta».
ANCHE LE IMMAGINI degli agenti che sparano contro manifestanti inermi sono, secondo Adamovsky che mercoledì pomeriggio era in piazza al corteo di fronte al Congresso, una costante tra i governi della destra argentina. «Esiste un modello comune che consiste nell’uso abusivo della forza in modo preventivo, prima che si verifichino disturbi. Oltre a questo, ci sono provocatori e infiltrati della polizia, come dimostrano numerose testimonianze e prove, che portano avanti attacchi per poi giustificare la repressione e la diffusione di comunicati stampa denigranti contro chi manifesta». La presidenza della Repubblica mercoledì ha infatti diffuso un comunicato in cui denunciava un tentativo di «colpo di stato» da parte dei manifestanti, definiti «terroristi». Verranno perseguiti «uno per uno», secondo quanto affermato dalla ministra per la Sicurezza, Patricia Bullrich.
«MILEI HA TRASFORMATO i movimenti sociali nel bersaglio prediletto dei suoi attacchi», continua Adamovsky, secondo cui organizzazioni sociali, chiese e Stato finiscono nello stesso calderone dei nemici del cosiddetto “anarco-capitalismo” al potere. «Perché il suo orizzonte è che il mercato sia l’unico organizzatore della vita sociale. Quel che stiamo vedendo è una politica di una crudeltà enorme, che si esprime ad esempio nel taglio alla quantità di cibo elargita alle mense popolari, che oggi stanno di fatto sfamando decine di migliaia di persone. Preferiscono che tonnellate di cibo marciscano o scadano piuttosto che distribuirle alle organizzazioni popolari. Qualsiasi forma di organizzazione – conclude lo storico – rappresenta un ostacolo e un nemico da distruggere».
* Fonte/autore: Federico Larsenil manifesto
Photo Unicorn Riot
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