by Alessandra Pigliaru * | 12 Maggio 2024 8:45
Tensione con la polizia quando i manifestanti cercano di forzare l’ingresso del Lingotto. Alcuni stand chiudono in solidarietà
TORINO. «Uno spazio che parla di cultura e di attualità non può chiudere gli occhi e non può lasciare fuori la storia con la S maiuscola», dice Zerocalcare. Lo spazio di cui si parla è il salone del libro di Torino dove ieri pomeriggio per due ore il dramma di Gaza ha fatto irruzione tra gli stand della case editrici, tanto da spingere il disegnatore a interrompere la presentazione del suo ultimo libro per recarsi all’ingresso del Salone dove almeno duecento giovani stavano protestando per la Palestina. Non sono mancati momenti di tensione quando, poco prima, i giovani dei centri sociali, della comunità palestinese di Torino, di Cambiare rotta gridando «Free free Palestine» si sono presentati all’ingresso del Lingotto cercando di entrare ma sono stati respinti dalla polizia in tenuta anti sommossa. Una reazione che ha spinto alcuni editori a chiudere il proprio stand in segno di solidarietà con i manifestanti.
«Penso – dice Zerocalcare – che per tanto tempo a noi che siamo testimoni di quello che sta succedendo in Palestina ci verrà chiesto conto del fatto che non stiamo fermando il massacro e quindi credo sia normale e naturale che ci siano persone che vogliano portare questi temi e contenuti all’interno e mi sembra assurdo che questa cosa non possa avvenire».
«All eyes on Rafah: blocchiamo tutto» avevano promesso nei giorni scorsi i manifestanti annunciando il sit in. Al presidio ci sono ragazzi e ragazze, alcuni bambini e bambine, molto piccoli con gli zainetti, ma anche uomini e donne di diversa provenienza ed età che fanno ondeggiare una grande bandiera palestinese, cantando nel ritmo di slogan pro-Palestina e contro il governo israeliano e a gran voce chiedendo, con rabbia e vigore, lo stop al genocidio.
Il flusso di persone, in entrata e in uscita dagli spazi del Lingotto, è stato invitato dalla polizia a usare ad altri ingressi per evitare il contatto con il presidio che ha avuto toni accesi e pur tuttavia un discreto pubblico di chi, dalle balaustre e dalle scalinate, si è fermato, osservava e interagiva con gli e le attiviste. «Come si fa a celebrare quest’anno un Salone, il più bello del mondo per noi torinesi, senza minimamente ricordare che a qualche migliaio di chilometri ci sono esseri umani che stanno morendo» ha urlato uno degli attivisti. «Ci sono teatri bombardati, scrittori che sono stati uccisi. Ma non vi vergognate?».
Pochi gli striscioni ma definitivi, come quello dell’Associazione dei Palestinesi in Italia: «Vita terra libertà per il popolo palestinese. Salviamo Gaza». E ancora il ricordo del poeta palestinese, Refaat Alareer, morto l’8 dicembre scorso: «Se l’organizzazione di questo Salone fosse stata obiettiva è a lui che lo avrebbe dovuto dedicare», spiegano i manifestanti. Si è fatto cenno alla cultura, a cosa sia oggi in questo paese davanti alle contestazioni che producono reazioni con i manganelli. E se di resistenza si tratta, «allora il vero Salone è qui, lo facciamo noi». Anche verso il governo italiano nessuno sconto, perché «mai una parola è arrivata per dire basta al genocidio, basta al massacro».
In serata una delegazione composta da cinque giovani viene fatta entrare nel Salone insieme a Zerocalcare. Fuori, i manifestanti annunciano di voler proseguire la protesta: «Da lunedì occuperemo tute le università torinesi perché quello che sta succedendo è una catastrofe», promettono.
* Fonte/autore: Alessandra Pigliaru, il manifesto[1]
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