by Andrea Valdambrini * | 10 Maggio 2024 10:11
C’è la data: il 21 maggio. A seguire Slovenia e Malta. Mentre il Belgio propone di mettere al bando i prodotti delle colonie
Diversi stati europei, a partire da Spagna e Irlanda, sono pronti a riconoscere lo Stato di Palestina. Si sapeva, ma ora c’è una data e l’intenzione si è fatta concreta.
Gli stessi paesi, insieme ad altri, ad esempio il Belgio, sono pronti a ridiscutere gli accordi commerciali con Israele e comunque ad aumentare in varie forme la pressione diplomatica di Bruxelles su Tel Aviv. La politica estera dell’Ue non è certo un terreno in cui l’Europa si muove unitariamente. Se sull’Ucraina Bruxelles è finora riuscita a trovare una sintesi, nonostante i distinguo di Budapest, lo stesso non si può dire della crisi mediorientale, che vede contrapposti governi fortemente filo-israeliani – primi tra tutti quelli di Germania e Austria – ad altri vocalmente critici nei confronti dell’operazione militare su Gaza e in generale della strategia del governo Netanyahu nei Territori palestinesi occupati.
IRLANDA E SPAGNA riconosceranno dunque lo Stato di Palestina, e con loro Malta e Slovenia. Si tratta di un’azione coordinata nei tempi e nelle modalità, anche se tecnicamente deve essere definita unilaterale, perché non presa da tutti gli appartenenti al blocco dei 27. La data segnata sul calendario è quella del 21 maggio, in occasione di una prossima riunione del Consiglio dei Ministri di Madrid. Va detto che il premier spagnolo Pedro Sánchez mantiene contatti con Lubjana e La Valletta che si sono impegnate in modo pubblico al riconoscimento congiunto.
Un negoziato macabro e precario[1]
L’annuncio di una mossa diplomatica in questa direzione era stata data dall’Alto rappresentante per la Politica estera Ue Josep Borrell a fine aprile, in occasione di un incontro speciale del World Economic Forum a Riyadh. Ma già il 22 marzo, a margine del Consiglio europeo di Bruxelles, i quattro paesi avevano firmato insieme una dichiarazione d’intenti in cui si erano dichiarati «pronti a riconoscere lo Stato di Palestina» nel momento in cui questo poteva portare un «contributo positivo» alla situazione in Medio Oriente. «Siamo d’accordo sul fatto che solo la soluzione dei due Stati può portare una pace durevole e stabile» nella regione, avevano aggiunto in quell’occasione i quattro leader europei. Attualmente sono otto le nazioni dell’Unione europea che attuano il riconoscimento del territorio entro i confini stabiliti nel 1967, ovvero Striscia di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme est.
PER LA MAGGIOR parte si tratta di paesi del centro e dell’Europa, come Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia, Ungheria, Romania e Bulgaria, che hanno approvato il riconoscimento prima dell’adesione all’Ue. Si aggiungono Cipro e Svezia, con Stoccolma unica ad aver compiuto questa scelta quando era già membro dell’Unione, nel 2014.
Dall’elenco appare evidente come non figurino i «grandi» – in termini non solo demografici, ma anche economici e politici – come Francia, Germania e non da ultimo Italia. Un invito al governo Meloni, «finora colpevolmente silente», ad esprimersi sull’iniziativa di Spagna e Irlanda e «lavorare in Europa per il riconoscimento da parte di tutti gli Stati membri dello Stato della Palestina» arriva dall’eurodeputata M5S Sabrina Pignedoli: «Se siamo uniti possiamo essere più forti nel portare la pace in Medio Oriente», ha commentato.
MA LA DIPLOMAZIA passa anche attraverso il commercio. Che significa mettere sul piatto della pressione contro l’azione militare a Gaza la possibilità di bandire i prodotti israeliani provenienti dalle colonie nei Territori occupati (a oggi la Ue impone solo di indicare la provenienza nell’etichetta). Ad avanzarla, il primo ministro belga Alexander De Croo, presidente di turno del Consiglio Ue, che propone l’apertura di un inedito fronte tra Bruxelles e Tel Aviv. Il leader liberale ha annunciato l’idea parlando ai media nazionali e spiegando come stia provando a convincere i governi Ue. Consensi sicuri tra Madrid e Dublino, ma persuadere tutti i paesi Ue sembra una missione impossibile.
* Fonte/autore: Andrea Valdambrini, il manifesto[2]
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