by Lorenzo Berardi * | 17 Maggio 2024 9:20
Gli appelli all’unità nazionale, dopo l’attacco al primo ministro Fico, le cui condizioni destano ancora preoccupazione, rischiano di cadere nel vuoto
VARSAVIA. A due giorni dall’attacco a colpi d’arma da fuoco contro il primo ministro Robert Fico, la Slovacchia si sveglia ferita e confusa. Sono trascorsi sei anni dal duplice assassinio del reporter investigativo Ján Kuciak e della fidanzata Martina Kušnírová che nel febbraio 2018 travolse le fragili certezze della democrazia slovacca. Da allora, al governo del Paese si sono succeduti cinque primi ministri, in un clima costante di scontro politico senza quartiere, fiducie inseguite o sfuggite in parlamento e di incertezza sul futuro.
Lungi dal risolvere questa situazione, il ritorno di Fico alla guida dell’esecutivo per la quarta volta, il 25 ottobre scorso, l’ha resa ancora più divisiva. Anziché perseguire la strada del dialogo con le opposizioni progressiste e liberali su temi come libertà di stampa, economia, rapporti con l’Unione europea e con la Russia, il Fico IV ha scelto di andare avanti per la propria strada. E, nel farlo, ha assecondato le istanze dettate dal Partito nazionale slovacco Sns, l’ala all’estrema destra dell’alleanza di governo.
È DA UN’ESPONENTE di questo movimento xenofobo, il ministro della Cultura Martina Šimkovičová, che proviene la bozza della controversa riforma dei media che intende fare tabula rasa dell’attuale radiotelevisione pubblica Rtvs, tacciata di essere “liberale” e quindi faziosa. Ed è contro questa riforma, di evidente stampo orbaniano, che creerebbe dal nulla un nuovo media di Stato filogovernativo il cui consiglio direttivo sarebbe nominato dal parlamento, che protestano da settimane le opposizioni, guidate da Slovacchia Progressista. Alla grande manifestazione di piazza di Bratislava del 2 maggio scorso ne sarebbe dovuta seguire un’altra, proprio il 14 maggio. Il tentato omicidio di Fico ha convinto il leader del partito, Michal Šimečka, a cancellarla immediatamente.
Un gesto importante all’insegna della distensione dei toni e del rispetto per l’avversario politico, ma che è passato in secondo piano nelle ore successive all’attacco. Il ministro degli Interni Matúš Šutaj Eštok, infatti, ha comunicato che l’assalitore di Fico, il settantunenne ex agente di sicurezza in pensione Juraj Cintula, avrebbe partecipato ad alcune manifestazioni dell’opposizione in difesa della libertà di stampa. Mancano conferme in proposito, ma tanto basta per accendere gli animi e portare alcuni commentatori vicini al governo a parlare di «motivazione politica».
Poco importa che Cintula abbia agito da solo, facilitato nel suo folle gesto dal fatto di avere un regolare porto d’armi per la pistola con cui ha sparato a Fico, e che nessuno fra i suoi vicini di casa avesse notato in lui qualcosa di strano nei giorni precedenti. Si era poi diffusa la voce che l’uomo fosse legato a un gruppo paramilitare filorusso, ma pare priva di fondamento e contrasterebbe con il tentativo di assassinare un politico non del tutto ostile a Mosca.
INTANTO, IL RISCHIO è che l’appello congiunto alla riappacificazione nazionale lanciato ieri dalla presidente della Repubblica uscente, Zuzana Čaputová, e da quello eletto, Peter Pellegrini cada nel vuoto. È quanto temeva Beata Balogová, caporedattrice del quotidiano Sme, secondo cui le dichiarazioni a caldo contro «media liberali» e «progressisti» da parte di esponenti del partito di Fico, Direzione-Socialdemocrazia, miravano a polarizzare la società, invece che invitare alla calma. Per limitarle, proprio Balogová e altri 22 redattori di alcuni fra i principali giornali, radio, televisioni e portali di notizie sul web del Paese hanno firmato ieri un editoriale che condanna l’attentato e chiede ai politici di non esacerbare le divisioni fra gli slovacchi. Čaputová e Pellegrini hanno invece chiesto a tutti i partiti politici slovacchi di interrompere la campagna elettorale in vista delle Europee di giugno in segno di rispetto per quanto accaduto al premier.
Nel frattempo Robert Fico si trova sempre ricoverato all’Ospedale Roosevelt di Banská Bystrica. Ci è arrivato mercoledì pomeriggio, subito dopo essere stato colpito dai quattro colpi di pistola sparatigli addosso da distanza ravvicinata nella cittadina di Handlová.
Le sue condizioni continuano a destare preoccupazione, anche se fonti governative sostengono ora che non sia più in pericolo di vita.
Nella nottata di mercoledì si era parlato di coma farmacologico e la situazione del premier slovacco pareva stabile, ma disperata. Tuttavia, ieri pomeriggio il presidente in pectore Peter Pellegrini, ha dichiarato di avere scambiato qualche parola con Fico, che quindi sarebbe cosciente, addirittura augurandosi che il primo ministro riesca a prendere o a delegare decisioni di persona nei prossimi giorni.
Al momento, e probabilmente ancora per parecchio tempo, gli incarichi istituzionali del primo ministro convalescente sono ricoperti ad interim dal vicepremier, collega di partito e attuale ministro della Difesa, Robert Kaliňák. Tocca ora a questo 53enne fedelissimo di Fico, già titolare del dicastero degli Interni in due occasioni e fra i fondatori di Direzione-Socialdemocrazia, l’ingrato compito di traghettare la Slovacchia verso acque meno agitate.
* Fonte/autore: Lorenzo Berardi, il manifesto[1]
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