Ora finalmente Netanyahu e Sinwar sono uguali di fronte alla legge. Non è che un inizio

by Luca Baccelli * | 22 Maggio 2024 13:18

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Leggere che i principali leader dello Stato d’Israele sono accusati di aver causato intenzionalmente sofferenze, attacchi, trattamenti crudeli e sterminio di civili, persecuzione del popolo palestinese, è al di là di ogni ambivalenza

 

Il procuratore ha chiesto alla Corte penale internazionale un mandato di arresto per il primo ministro e il ministro della difesa di Israele, oltre che per i massimi leader di Hamas e del suo braccio militare. Immanuel Kant si è visto all’Aia, dopo che – come ha sostenuto su questo giornale Roberta de Monticelli – si è aggirato per le università di mezzo mondo?

È stato Kant a proporre che soggetti del diritto sovranazionale siano non solo gli Stati, ma anche gli individui. Su questa linea, Hans Kelsen in La pace attraverso il diritto (1944) ha affidato a un tribunale l’onere di tutelare la pace affermando il principio della responsabilità individuale per i crimini internazionali.

La prima applicazione di questo principio non ha dato le sue prove migliori. Lo stesso Kelsen ha denunciato che i principi di terzietà e di irretroattività dell’azione penale sono stati violati dai Tribunali di Norimberga e di Tokio. E le aporie del diritto internazionale penale si sono ripresentate quando dagli anni novanta sono stati istituiti tribunali ad hoc, dalla ex-Jugoslavia al Ruanda, all’Iraq. I doppi standard sono stati la regola e non si può dare torto a Danilo Zolo quando parlava di «giustizia dei vincitori».

La Corte penale internazionale sembra superare questi limiti, con l’accurata definizione di crimini e competenze nello Statuto di Roma. Ma è subordinata al Consiglio di sicurezza (art. 16a), può accettare finanziamenti (art. 116), è obbligata a rispettare accordi bilaterali che esentino Stati (in primis gli Usa) dalla sua giurisdizione. E non ne fanno parte principali potenze economiche e militari del globo né quasi tutti gli Stati detentori di armi nucleari (Usa, Russia, Cina, India, Pakistan, Israele, Corea del Nord). Per avere un’idea di come l’esercizio dell’azione penale sia stato asimmetrico, fino a poco tempo fa era sufficiente scorrere le immagini di inquisiti e condannati: nessuno era bianco. Poi è arrivata l’incriminazione di Putin e Lvova-Belova per la deportazione dei bambini ucraini.

I reati commessi nei territori palestinesi occupati sono stati denunciati alla Cpi fin dal 2009. I procuratori hanno temporeggiato in attesa del chiarimento sullo status della Palestina; dopo il 7 ottobre nelle dichiarazioni di quello attuale, Karim Khan, sembravano riemergere le consuete ambiguità: per i palestinesi si usavano le espressioni «crimini di guerra», «continue violazioni del diritto internazionale umanitario», mentre per Israele le formulazioni rimanevano dubitative od ottative (il dovere di rispettare il diritto internazionale umanitario).

Lo statement del 20 maggio con cui Khan chiede l’incriminazione e l’arresto di Sinwar, Al-Masri, Haniyeh, Netanyahu, Gallant sembra smentire questa impressione. Leggere che i principali leader dello Stato, già sotto giudizio da parte della Corte Internazionale di Giustizia per la plausibile perpetrazione di un genocidio, sono accusati di aver causato intenzionalmente sofferenze, attacchi, trattamenti crudeli e sterminio di civili, persecuzione del popolo palestinese, è al di là di ogni ambivalenza. Particolarmente significativa è l’insistenza sul crimine di starvation, cioè «affamare intenzionalmente, come metodo di guerra, i civili». Certo questo non significa che le aporie della Cpi siano risolte né tantomeno che la sua azione sarà immediatamente efficace. Ma va sottolineato esattamente quello che scandalizza i sostenitori di Israele, da Biden ai deliri di Fiamma Nirenstein che ovviamente accusa Khan di antisemitismo: Nethanyau e Sinwar sono sullo stesso piano. Cioè sono considerati uguali davanti alla legge.

Non è un caso che questo avvenga dopo mesi di mobilitazione internazionale, dai campus delle università di élite alle masse di quella parte del pianeta che si rende sempre più conto di essere maggioritaria, nonostante “noi” continuiamo a rappresentarci al centro del mondo. Il diritto è il mezzo, necessario, per formalizzare i conflitti e allentarne la tensione, così come permette di dare voce ai più deboli. Ma per far questo è necessaria la pressione “dal basso”: il diritto è un campo di conflitto ed è espressione dei conflitti. Le sentenze della Corte suprema americana contro la discriminazione, come quella della Corte costituzionale italiana sull’aborto, sono state emesse durante grandi stagioni di lotta. Del resto, che i “tumulti” possono produrre “leggi e ordini” lo aveva già visto Niccolò Machiavelli. Non è che un inizio.

* Fonte/autore: Luca Baccelli, il manifesto[1]

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