In Cina lavoro forzato degli operai uiguri, Volkswagen sotto accusa
Human Rights Watch incalza il colosso automobilistico tedesco per la joint venture con Pechino. «Non può lavarsi le mani dalle sue responsabilità»
Quarantotto ore prima dell’assemblea annuale del gruppo Volkswagen Human Rights Watch e il Centro europeo per i diritti umani (Ecchr) si appellano direttamente agli azionisti. «Fatevi dire dai dirigenti come intendono eliminare il lavoro forzato degli operai uiguri nella fabbrica co-gestita con il costruttore automobilistico Siac controllato dallo Stato cinese. Vw non può semplicemente lavarsi le mani dalle sue responsabilità nelle joint venture con Pechino» è l’istanza più che imbarazzante per i vertici del marchio simbolo del made in Germany.
Il colosso di Wolfsburg oggi vende un’auto ogni tre in Cina, ormai il secondo mercato per importanza come ribadito dall’amministratore delegato Oliver Blume a fine aprile. Soprattutto Vw utilizza alluminio prodotto nello Xinjiang dalle aziende legate a programmi governativi di lavoro forzato con detenuti di etnia uigura e altre minoranze turcofone.
A febbraio il quotidiano filo-confindustria Handelsblatt aveva rivelato come un appaltatore della fabbrica Vw-Siac nello Xinjiang si fosse avvalso degli schiavi a costo zero per la costruzione della nuova pista per i test.
«Finora non abbiamo ricevuto indicazioni di violazione di diritti umani sul nostro circuito di prova» garantiscono i manager Vw dopo aver commissionato l’apposito audit per indagare le violazioni a Markus Löning, ex commissario tedesco per i diritti umani. Peccato solo che non includesse la pista in oggetto.
«Vw non riesce a indagare adeguatamente sui collegamenti tra la sua catena di approvvigionamento in Cina e il lavoro forzato» sottolinea Hrw ricordando l’ammissione dello stesso Löning secondo cui l’indagine «si è basata sulla revisione della documentazione più che sulle interviste ai lavoratori che potrebbero rivelarsi pericolose. Anche se fossero a conoscenza di qualcosa, non lo direbbero mai».
Lo scorso giugno Ecchr ha denunciato in blocco i tre grandi brand dell’automotive nazionale all’Ufficio federale per gli affari economici, responsabile della legalità dell’import-export. «Vw Bmw e Mercedes violano gli obblighi non adottando misure efficaci per prevenire il lavoro forzato imposto da Pechino nella catena delle forniture. A gennaio Vw aveva dovuto ammettere alla dogana Usa che una parte dei microchip era stata fabbricata da un fornitore elencato dalle autorità americane come legato al lavoro forzato. Allora vennero sequestrate tutte le auto contenenti il pezzo assemblato dagli schiavi e Vw dovette sostituire il subappaltatore.
* Fonte/autore: Sebastiano Canetta, il manifesto
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