«Il diritto internazionale non limita la difesa dell’Ucraina ai propri confini» è la giustificazione dell’ennesimo dietrofront del cancelliere Scholz, sintomatica dell’aria che tira due anni e tre mesi dopo l’invasione dell’Ucraina. Di fatto tutti i tabù dell’inizio di guerra – quando il leader Spd voleva inviare al massimo elmetti e tende da campo – si sono sgretolati uno dopo l’altro in concomitanza con i bollettini indicanti la lenta ma continua avanzata russa in tutti i settori del fronte.

«Siamo molto preoccupati» fa trapelare alle agenzie di stampa una fonte diplomatica in campo Nato ben addentro al summit informale dei ministri della Difesa occidentali previsto oggi e domani a Praga. Anche qui il grande nodo da sciogliere restano le divergenze fra «i Paesi inclini a fare di più e in modo diverso da quanto fatto finora e i governi più prudenti. Da questo punto di vista Scholz ha fatto un passo avanti». Sarà l’incontro preparatorio del più importante vertice di Washington dove verrà stesa in dettaglio la tattica dell’azione comune. Sulla strategia invece nessuna diserzione rispetto alla linea annunciata dal segretario generale Nato Jens Stoltenberg, recepita più o meno in automatico da tutti gli alleati.

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La Nato entra in guerra[1]

«Kiev può utilizzare le nostre armi per colpire il territorio russo» coincide con il nulla osta del governo di Helsinki, contemporaneo allo scontato via libera della Polonia, altro Paese in prima linea sul confine Est insieme ai tre Baltici e già disposto a inviare truppe proprie al di fuori dagli accordi Nato. La Svezia invece fa tempestivamente sapere di aver appena stanziato aiuti all’esercito ucraino per oltre un miliardo di euro. «Non cerchiamo l’escalation ma dobbiamo cambiare tattica dopo l’avanzata russa a Karkhiv» è il succo del summit di Praga. Significa che al di là delle dichiarazioni il cambio di passo è deciso nonostante i distinguo e le diverse parti in commedia.

Esattamente un anno fa, poco prima della controffensiva ucraina poi clamorosamente fallita, il caveat Nato era ancora di limitarsi alla difesa soprattutto area del territorio ucraino. Poi è arrivata la promessa degli F-16 recentemente confermata dal Belgio con il supporto degli altri undici Paesi in cui attualmente si addestrano i piloti dell’aeronautica ucraina, le bombe a grappolo dagli Usa vietate dalla convenzione firmata da oltre 100 governi, e infine la fornitura da parte di Stati Uniti e Regno Unito dei sistemi missilistici guidati “Himars” e “M-270”.

Finché ad aprile Macron in gran segreto ha spedito a Kiev i suoi “Scalp” equivalenti, e iniziano ad arrivare anche gli “Atacms” con raggio d’azione pari 300 km fatti inviare egualmente sottobanco e senza dire una parola dai consiglieri militari di Biden a febbraio. Ma ci sono anche gli istruttori militari francesi ufficialmente acquartierati in Ucraina dal 27 maggio e la marea di volontari addestrati in Occidente.

All’Ovest però non servono soltanto armi bensì la “giusta” comunicazione del concetto di difesa che l’opinione pubblica di tutti i Paesi Nato si ostina ad associare alla guerra. Da ieri il colosso degli armamenti Rheinmetall è il nuovo sponsor del Borussia Dortmund. Un altro tabù distrutto: per la prima nella storia un’azienda di armi sponsorizza una squadra di Bundesliga. La partnership milionaria durerà tre anni e non è solo una questione di soldi. Secondo Hans-Joachim Watzke, amministratore delegato del Borussia: «Sicurezza e difesa sono due pilastri della nostra democrazia. Ecco perché questa sponsorizzazione è giusta».

* Fonte/autore: Sebastiano Canetta, il manifesto[2]