by Stefano Mauro * | 11 Maggio 2024 9:06
Human Rights Watch accusa le Forze di supporto rapido di massacri indiscriminati delle popolazioni non arabe: tra 10 e 15mila vittime nella sola el-Geneina. E ora c’è ansia per l’assedio della città di El Fashir, con oltre un milione di abitanti e 600 mila profughi
Human Rights Watch (Hrw) ha pubblicato giovedì un nuovo rapporto sul Sudan, in particolare sulla città martire di el-Geneina, capitale del Darfur occidentale. Nelle 186 pagine del report, Hrw «solleva la possibilità di un genocidio in atto», citando pratiche di «pulizia etnica e crimini contro l’umanità» contro la comunità Massalit e altre etnie non arabe, sterminate dalle Forze di supporto rapido (Rsf).
DA OLTRE UN ANNO violenti combattimenti vedono contrapposti l’esercito sudanese (Fas), guidato dal generale Abdel Fattah Al-Burhan, alle Forze di Supporto Rapido (Rsf) del generale Hamdane Dagalo (detto Hemedti). Nessuna delle mediazioni tentate è riuscita a porre fine a un conflitto che ha provocato finora almeno 25mila vittime e oltre 8 milioni di sfollati interni o rifugiati nei paesi vicini come Egitto, Libia, Ciad, Repubblica Centrafricana, Etiopia, Sud Sudan. Proprio in questi giorni sul quotidiano Sudan Tribune al-Burhan ha escluso «ogni possibilità di negoziato, cessate il fuoco o pace prima della completa sconfitta dei criminali delle Rsf che hanno commesso violenze atroci in tutto il paese e nel Darfur in particolare».
Secondo gli ultimi dati delle Nazioni Unite, più di 600mila sudanesi sono fuggiti dalle violenze in Darfur verso il Ciad, con «il 75% dei profughi che provenivano da el-Geneina», in una regione che dal 2003 è teatro di violenze compiute dalle milizie Janjaweed – confluite successivamente nelle Rsf – contro le comunità non arabe dei Fur, Zaghawa e Massalit. Oltre 400mila le vittime.
Il rapporto documenta come, dalla fine di aprile a inizio novembre 2023, i paramilitari delle Rsf «hanno condotto una campagna di pulizia etnica attraverso massacri e omicidi», con il preciso obiettivo di «sterminare l’etnia dei Massalit». Sistematica la distruzione di abitazioni e ospedali. «Torture di massa, stupri e saccheggi» hanno raggiunto il picco a metà giugno, quando migliaia di persone sono state uccise nel giro di pochi giorni, ed è aumentata nuovamente a novembre, causando complessivamente tra le 10 e 15mila vittime nella sola città di el-Geneina.
Hrw ha chiesto un’indagine sull’intento genocida contro i responsabili e ha esortato le Nazioni Unite ad «estendere l’embargo sulle armi nel Darfur a tutto il Sudan». La Corte penale internazionale (Cpi), che ha già in corso indagini, sulla «pulizia etnica compiuta dalle Rsf in Darfur», afferma di avere «motivo di credere che sia i paramilitari sia l’esercito», stiano tutt’ora commettendo «crimini di guerra contro civili e profughi in numerose aree del paese». Anche con «saccheggi» e «blocco degli aiuti», con attacchi continui contro gli operatori umanitari.
Le preoccupazioni e l’attenzione della comunità internazionale è rivolta in queste settimane a ciò che sta avvenendo nella città di el-Fashir (Nord Darfur), l’unica capitale dei cinque stati del Darfur a non essere nelle mani dei paramilitari di Hemedti e principale centro di rifugio dei profughi dell’area.
Numerosi esperti avvertono del rischio di «un possibile massacro che potrebbe generare altre decine di migliaia di vittime nella città», soggetta a bombardamenti a tappeto e ormai totalmente circondata dalle Rsf, con oltre un milione di persone – di cui circa 600mila profughi – senza alcuna possibilità di fuga.
A fine aprile l’Onu aveva già messo in guardia su questo «nuovo fronte» del conflitto, con il rischio di un «ulteriore ed esponenziale spargimento di sangue di civili e profughi inermi, colpiti dal fuoco incrociato, privati di cibo, acqua, medicine e senza aiuti umanitari in una regione già sull’orlo della carestia», come indicato dal sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli affari politici, Rosemary DiCarlo.
* Fonte/autore: Stefano Mauro, il manifesto[1]
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