«La Corte penale internazionale cambia rotta: è in gioco la sua legittimità»

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Intervista a Triestino Mariniello, nel team legale delle vittime palestinesi

 

Parla Triestino Mariniello, associato di diritto penale internazionale alla Liverpool John Moores University e parte del team legale che rappresenta le vittime palestinesi di fronte alla Corte penale internazionale.

Stanno crescendo le voci di possibili mandati d’arresto della Cpi verso tre alti esponenti del governo e dell’esercito israeliano, il premier Netanyahu, il ministro della difesa Gallant e il capo di stato maggiore Halevi. Cosa ci si può attendere?
Al momento sono solo voci, messe in giro da organi di stampa israeliani. È impossibile quindi per ora dire se i mandati d’arresto verranno spiccati, e quando. Quello che sappiamo è che l’indagine sta procedendo con la «massima urgenza», con le parole del procuratore capo della corte penale internazionale Karim Khan. È plausibile che quando ci saranno mandati di arresto o ordini di comparizione riguarderanno crimini di guerra o contro l’umanità commessi dai membri armati di Hamas il 7 ottobre, e per quando riguarda gli israeliani dovrebbero incentrarsi su crimini – probabilmente di guerra – commessi dai cosiddetti coloni violenti. L’unico crimine che Khan ha citato a proposito delle autorità israeliane è quello di affamare intenzionalmente la popolazione di Gaza, ancora una volta un crimine di guerra. Credo sarebbe auspicabile, anche in qualità di rappresentante legale delle vittime, che indagini e mandati non abbiano un raggio d’azione corto ma vadano a coprire gli (ampiamente documentati) crimini di guerra, contro l’umanità e di genocidio commessi nella Striscia. Sarebbe invece preoccupante se, per esempio per quanto riguarda i bombardamenti, ci si concentrasse soltanto sugli attacchi sproporzionati, ignorando che le autorità di Israele hanno effettuato attacchi intenzionali e indiscriminati contro la popolazione civile. Sarebbe inoltre fondamentale che i mandati d’arresto non si concentrassero su specifici incidenti dimenticandosi del contesto in cui vengono condotte queste ostilità: un attacco sistematico su vasta scala che nasce con il blocco della Striscia di Gaza.

Ne potrebbero far parte anche crimini commessi in precedenza nei territori, ovvero quelli segnalati dal team palestinese in questi anni e consegnati alla procura della corte?
Ci sono già delle indagini in corso, aperte nel 2021, che riguardano gli insediamenti illegali, i crimini commessi da israeliani e palestinesi nel 2014 – durante l’operazione Margine protettivo – e a Gaza nell’ambito della Grande marcia del ritorno dal marzo 2018. La mia impressione è che però queste indagini siano finite nel dimenticatoio per scelta esplicita di Khan: da quando è stato eletto, anche dopo l’ottobre 2023, non ne ha mai parlato. Quindi il mio timore – e quello delle vittime che speravano in un intervento della Cpi in merito alle indagini aperte -, è che almeno per il momento non entreranno a far parte della nuova inchiesta.

A darne notizia sono i media israeliani. Quale potrebbe essere l’obiettivo politico-mediatico di tale rivelazione?
Le motivazioni sono molteplici: legali, giuridiche e politiche. Su un piano di politica estera e interna mi sembra, leggendo le parole di Netanyahu, che l’obiettivo principale fosse mandare un messaggio agli alleati di Israele, e al suo governo, più che alla Cpi. Come a dire: sono l’unico in grado di proteggervi dall’intervento della Corte penale internazionale. Mentre l’intento ancor più lampante nei confronti degli alleati è di spingerli a fare pressioni sulla Cpi. In particolar modo sull’ufficio della procura, ed eventualmente sui giudici nel caso in cui fosse già stata inoltrata la richiesta per l’emanazione dei mandati di arresto. Ci tengo a sottolineare che per ora queste pressioni stanno funzionando, almeno a vedere le reazioni negli Stati uniti di alcuni parlamentari ma anche della stampa. In primo luogo in un articolo a firma dell’editorial board del Wall Street Journal, e quindi del massimo organo di stampa dell’establishment economico e finanziario statunitense, che invita Gran Bretagna e Usa a fare pressioni sulla Cpi, ricordando a Khan che è stato eletto grazie a questi paesi.

Finora il procuratore Khan era stato criticato per non essersi attivato con rapidità a fronte di una situazione drammatica e anche alla luce delle decisioni della Cig a fine gennaio. Cosa è cambiato?
L’abbiamo criticato e continuiamo a farlo. Almeno fino a fine ottobre del 2023 Khan è sempre stato infastidito da questa inchiesta, era l’ultima fra le indagini aperte ad avere la sua attenzione. Non lo dico io ma i dati: il budget del 2022 non le destinava un euro, nel 2023 la somma era di 1/5 rispetto a quanto era stato destinato all’Ucraina – che non è nemmeno mai stata parte della Cpi a differenza dello stato di Palestina – e in generale meno di qualunque altra delle 10 indagini attive. Perché Khan abbia cambiato approccio lo capiremo dalla richiesta dei mandati d’arresto, che in sé non sono sufficienti: bisogna vedere contro chi saranno spiccati, e per quali reati. Sarebbe preoccupante uno scenario in cui vengono richiesti nei confronti di cosiddetti pesci piccoli, per reati riguardanti solo incidenti specifici nella Striscia. È comunque innegabile il cambiamento di rotta, dovuto alla gravità della situazione: non era più sostenibile per le pressioni della comunità internazionale, della società civile, le varie agenzie delle Nazioni unite. E inoltre perché la Corte di giustizia ha ritenuto che ci sia un genocidio plausibile. Khan ha probabilmente compreso che ci troviamo in un momento in cui è in gioco la stessa sopravvivenza della Cpi in termini di legittimità e credibilità dell’istituzione.

Non è mai successo che mandati d’arresto della Cpi siano spiccati verso esponenti del governo e dell’esercito israeliani. Quali potrebbero essere le conseguenze legali e politiche di un simile terremoto?
In termini giuridici significherebbe che qualsiasi paese che è stato membro della Cpi – parliamo di 124 stati – avrebbe l’obbligo giuridico di dare esecuzione ai mandati di arresto. È chiaro che questa sarebbe una fortissima limitazione per l’esercizio delle funzioni governative della leadership israeliana. È un rischio che poi va valutato nel medio e lungo periodo: se determinati esponenti politici – Netanyahu o altri – non dovessero più essere rappresentanti di governo, il pericolo per loro aumenterebbe, si ritroverebbero più isolati loro ma anche lo stesso stato di Israele. Ma l’effetto principale è quello della deterrenza: i mandati di arresto avrebbero una grossa efficacia in questo senso per quanto riguarda le violazioni nella Striscia di Gaza. E soprattutto l’invasione via terra a Rafah: se i mandati dovessero arrivare a breve io credo fortemente che le autorità israeliane rivedrebbero prima di tutto la loro decisione di attaccare la città.

* Fonte/autore: Chiara Cruciati, Giovanna Branca, il manifesto



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