by Sabato Angieri * | 22 Marzo 2024 8:28
Stoltenberg: «Non è questione di se ma di quando». Anche Sullivan in visita da Zelensky. Missili russi sulla capitale Kiev e nel sud
I missili russi hanno svegliato gli abitanti di Kiev all’alba nel tentativo di distruggere una sede dell’intelligence. Altri ordigni si sono abbattuti sui centri logistici di Mykolayiv e Kherson mentre per la prima volta dall’invasione russa un una delegazione ufficiale della Nato ha visitato l’Ucraina.
«La mia visita testimonia il fatto che la Nato e l’Ucraina sono più vicine di quanto lo siano mai state», ha dichiarato Rob Bauer, presidente del comitato militare prima di incontrare il comandante in capo delle forze armate ucraine, Oleksandr Syrskyi.
A poca distanza si trovava il consigliere per la sicurezza nazionale Usa, Jake Sullivan, nella capitale ucraina per ribadire il sostegno «incrollabile» della Casa bianca a Zelensky. Al centro dei discorsi, tuttavia, resta sempre la questione dei 61 miliardi di fondi militari bloccati alla Camera Usa che hanno impoverito palesemente le scorte degli arsenali ucraini.
NON SI TRATTA di una coincidenza: se Gruppo di contatto Nato, Consiglio europeo e ora anche vertici dell’Alleanza e plenipotenziari statunitensi tornano a parlare di armi all’Ucraina quasi in contemporanea un motivo c’è. Da un lato il timore che un eventuale sfondamento delle truppe russe possa dare al mondo l’impressione, come dice Putin, che «l’ordine mondiale basato sull’egemonia degli Usa è finito».
Dall’altro che la Nato perda il suo potere di deterrenza, fino a ieri basato semplicemente sulla sua esistenza. Ieri il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha detto: «Stiamo contribuendo a rendere le vostre forze e le vostre attrezzature più interoperabili con gli alleati. In preparazione al giorno in cui l’Ucraina si unirà all’Alleanza. Non è una questione di se, ma di quando».
In tale accelerazione diplomatica si inseriscono le dichiarazioni a proposito della presenza di militari dei Paesi Nato in Ucraina. Da quando il cancelliere tedesco Scholz ha detto che Berlino «non può fare come fanno altri» membri del blocco atlantico, riferendosi a Francia, Gran Bretagna e Usa, e inviare uomini sul campo a manovrare gli armamenti forniti a Kiev, è stato un susseguirsi di annunci.
In primis il ministro degli esteri polacco, che ha confermato le parole di Scholz. Poi il presidente francese Macron che ha addirittura definito plausibile l’invio di truppe Nato sul campo, affermazione che ha provocato un coro quasi unanime di dinieghi da una parte all’altra del Vecchio continente, Italia compresa. Ma il solo fatto che l’ipotesi esista la rende possibile, almeno in potenza.
Ieri il portavoce del Cremlino ha minacciato «conseguenze molto negative, persino irreparabili» se i soldati occidentali dovessero mettere gli anfibi sul suolo ucraino. Il riferimento è ovviamente alle armi atomiche e, del resto, Putin l’aveva già detto: «Siamo pronti a usare le armi, tutte le armi se si tenta di minare la nostra sovranità e indipendenza». Ma i militari occidentali in Ucraina ci sono già o no?
CONFERME ufficiali non ne abbiamo, tranne gli articoli della stampa statunitense che un mese fa hanno rivelato la presenza di ben 12 basi segrete della Cia nell’est del Paese, a ridosso del confine con il territorio russo. In ogni caso è molto probabile che gli armamenti e i mezzi più sofisticati avessero bisogno di manovratori esperti, di soldati che potessero addestrare gli ucraini al loro uso.
L’eventualità che insieme a questi uomini, che si occupano del lato pratico della guerra, si trovino in Ucraina decine di altri “consulenti” dell’intelligence, ufficiali di collegamento o funzionari addetti al controllo delle forniture belliche appare ancor meno peregrina.
Ma finora Mosca aveva minimizzato. «Non è una novità» aveva dichiarato il Cremlino subito dopo lo scoop delle basi Cia. Tuttavia con il passare delle settimane il clima si è inasprito portando alla paura odierna per una guerra tra Nato e Russia che ha già raccolto molti adepti nell’Ue, tanto che ieri l’Alto rappresentante degli Affari esteri Borrell ha provato ad abbassare i toni: «Non bisogna impaurire la gente inutilmente: la guerra non è imminente».
* Fonte/autore: Sabato Angieri, il manifesto[1]
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