Quel vuoto derivava dalla paura – se non dal panico – che ha attraversato la Farnesina dopo il 7 ottobre. Le settimane successive sono state segnate da una vera e propria caccia alla presunta «collaborazione italiana con Hamas» e più in generale con i palestinesi. Sotto la pressione di Israele che vedeva Hamas ovunque e di certi giornali, radio e tv che riferivano di «finanziamenti» di Ong italiane alle «strutture del terrorismo islamico», al ministero degli Esteri hanno perduto la testa. Svetta su tutti l’articolo pubblicato il 24 ottobre 2023 dal Giornale, «Fondi italiani ai terroristi palestinesi», nel quale, sulla base di un dossier di Ngo Monitor – sito legato all’ultradestra israeliana – si accusava l’Aics di aver destinato 23 milioni e 200mila euro a ong italiane «filopalestinesi» vicine al Fronte popolare. «Ai piani alti hanno deciso, senza annunciarlo ufficialmente, di congelare la cooperazione con i palestinesi. Da qui l’abbandono dell’Aics a Gerusalemme al quale peraltro è stato chiesto di fornire informazioni sull’orientamento politico di suoi consulenti, dipendenti ed esperti palestinesi», ci racconta una fonte della Farnesina che ha chiesto di rimanere anonima. «All’improvviso – prosegue la fonte – i palestinesi sono diventati tutti, senza differenze, dei pericolosi alieni da controllare e isolare. Nei primi due mesi dopo il 7 ottobre, la Farnesina, in definitiva il governo, ha fatto tutto ciò che chiedeva Israele o che potesse risultare gradito a Israele sulle questioni di sicurezza». Stando al racconto della nostra fonte «ad un certo punto non si poteva neppure nominare Gaza, si doveva far riferimento genericamente alla Palestina nei progetti in discussione. Non c’erano decisioni scritte ma nelle telefonate i funzionari del ministero responsabili per il Medio oriente lasciavano capire questo».

Poi è arrivata la scomunica dell’Unrwa da parte degli Stati uniti e dei suoi alleati occidentali, tra cui l’Italia, dopo la denuncia da parte di Israele della presunta partecipazione all’attacco del 7 ottobre di 12 dipendenti dell’agenzia dell’Onu per i profughi palestinesi. Alla cooperazione italiana in Palestina, pur di non abbandonare i civili di Gaza, in un momento così difficile, si è deciso di mantenere e sviluppare la collaborazione con l’Oms e l’Unfpa, l’agenzia che assiste le donne a vari livelli. I fondi però non sono stati aumentati, nonostante la gravissima crisi umanitaria a Gaza e kit di emergenza e di dignità (igienici) comprati dall’Italia giacciono da settimane su uno dei 1500 camion in attesa di entrare nella Striscia. Aggirando l’Aics di Gerusalemme, la Farnesina e il governo hanno lanciato iniziative per i palestinesi, come l’arrivo in Italia di bambini di Gaza feriti dai bombardamenti e l’invio di una nave ospedale di cui però non si sa più nulla. Roma si dice pronta, inoltre, a partecipare al flusso di aiuti lungo il corridoio marittimo da Cipro.

Restano a piedi le ong italiane che per anni hanno realizzato progetti a Gaza in collaborazione con la cooperazione governativa. «In un momento di crisi umanitaria così alta, mentre le organizzazioni della società civile italiana si mobilitano per Gaza, la linea governativa va in altro senso – ci dice Meri Calvelli, cooperante a Gaza e in Cisgiordania da 35 anni – la cooperazione viene tagliata fuori, con l’impossibilità di agire sul terreno e di mettere in atto le pratiche e la capacità di emergenza che ci hanno sempre caratterizzato. Sospendere e poi bloccare i programmi di emergenza, non coinvolgere tutta la nostra operatività, è qualcosa che supera la questione umanitaria e diventa una questione politica».

Guglielmo Giordano sottolinea che di fronte all’aggravarsi della crisi umanitaria a Gaza, l’Italia «ha mandato due voli militari con aiuti per 67mila euro…è costato più il volo che la roba trasportata. Ciò mentre anche paesi filoisraeliani come la Germania hanno mandato aiuti per decine di milioni ai palestinesi». Non serviva mandare una nave ospedale, aggiunge Giordano «piuttosto occorreva dire a Israele di lasciar funzionare gli ospedali palestinesi…le case popolari costruite dall’Italia nel nord di Gaza con 16 milioni di euro sono state distrutte in 36 ore dai bombardamenti israeliani. Le decisioni prese a Roma mirano a far notizia, ma dal punto di vista professionale e pratico non hanno ricadute sul terreno».

* Fonte/autore: Michele Giorgio, il manifesto[1]