Gaza. Rafah sull’orlo del bagno di sangue, Pretoria chiama l’Aja
Gaza, negoziati in corso al Cairo ma Israele non cede e pianifica l’evacuazione dei civili palestinesi. A 18 giorni dalle misure della Corte internazionale, il Sudafrica ne chiede altre. Tensione al confine con il Libano
GERUSALEMME. «Cosa faremo, dove andremo se Israele attaccherà anche Rafah? Francamente non lo so, ci sentiamo in trappola». La voce sembra giungere dall’altra parte del mondo tanto è flebile e lontana.
Ma Fares Abu Fares, direttore a Gaza dell’ong Heal Palestine, è a Rafah a portare aiuto alla sua gente nel pieno della crisi umanitaria scatenata dall’offensiva militare israeliana. «Ogni giorno – dice – un centinaio di nostri volontari preparano e distribuiscono almeno 10mila pasti, ma non sfamiamo solo la gente».
HEAL PALESTINE, aggiunge, «si preoccupa anche di tenere pulite quattro scuole in cui si trovano migliaia di sfollati. Per garantire un minimo di igiene a tante persone, in gran parte bambini, e proteggere le scuole. Un giorno ci serviranno di nuovo per dare un’istruzione ai nostri figli».
Se Israele non attaccherà Rafah, commenta Hala, una volontaria madre di tre figli, a cui Fares ha passato il telefono. «Leggiamo le nostre ultime preghiere ogni notte – racconta – Speravamo nella tregua ma è fallito tutto».
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Heal Palestine ha pronto un piano di emergenza: «Se ci cacceranno da Rafah, andremo a Deir Al Balah – spiega Fares – però non sappiamo cosa troveremo lì, le bombe hanno distrutto Gaza».
A parole, sono ripresi ieri al Cairo i colloqui cominciati il mese scorso a Parigi – tra i capi dei servizi di intelligence di Stati uniti, Egitto, Israele con i mediatori del Qatar. In discussione c’è un nuovo accordo di tregua, dopo il rifiuto di Israele della controproposta presentata da Hamas.
Un funzionario egiziano ha affermato che l’incontro si sta concentrando sulla «elaborazione di una bozza finale» di una «pausa umanitaria» di sei settimane, con la garanzia che le parti continueranno i negoziati verso un cessate il fuoco permanente.
COMUNQUE sia, il compromesso appare lontano. Israele afferma di voler «stanare» i militanti di Hamas e il loro capo a Gaza, Yahya Sinwar, dai tunnel sotto Rafah e di voler liberare gli ostaggi con i suoi soldati.
Starebbe elaborando soluzioni per evacuare i civili palestinesi intrappolati nella città e nelle sue tendopoli. Ma non è stato presentato alcun piano e le agenzie umanitarie avvertono che gli sfollati non hanno altro posto dove andare nel territorio devastato.
L’impressione è che Israele, dopo la liberazione a Rafah di due ostaggi da parte dei soldati, si sia convinto ancora di più di dover usare la forza e non la trattativa per riportare a casa i 134 sequestrati (di cui almeno 31 sarebbero morti) attraverso uno scambio con prigionieri politici palestinesi. Allo stesso tempo Hamas insiste nella richiesta di un cessate il fuoco definitivo e di ritiro di Israele da Gaza.
Posizioni molto distanti che non sarà facile avvicinare. Inoltre, se sono affidabili le informazioni riferite due giorni fa dal quotidiano libanese Al-Akhbar, Israele non pensa in alcun modo alla tregua perché avrebbe elaborato un piano di evacuazione di Rafah assieme ai suoi alleati.
Secondo il giornale, che non cita le sue fonti, verranno creati circa 15 villaggi sulla costa tra Mawasi a sud e Sheikh Ajlin alla periferia di Gaza city, con 25mila tende ognuno.
Saranno gestiti da palestinesi non legati ad Hamas e verrà creato un porto galleggiante. I punti di transito di Rafah e Kerem Shalom saranno chiusi e gli aiuti arriveranno dai valichi sul lato est. Un piano che permetterebbe a Israele di attaccare Rafah con la benedizione dell’amministrazione Biden.
INTANTO l’Unrwa, l’agenzia dei profughi palestinesi, presa di mira per la presunta partecipazione di 12 suoi dipendenti all’assalto di Hamas nel sud di Israele il 7 ottobre (circa 1.200 morti), è tornata a mettere in guardia sugli effetti catastrofici di un’offensiva su Rafah. Juliette Touma, la portavoce, ha chiarito che l’agenzia non è a conoscenza di alcun piano di evacuazione.
«Dove manderete le persone visto che nessun posto è sicuro in tutta Gaza, il nord è distrutto, cosparso di armi inesplose, è praticamente invivibile. Qualsiasi ulteriore escalation sarebbe apocalittica», ha detto Touma, aggiungendo che l’Unrwa non parteciperà a un’evacuazione forzata.
Intanto il governo del Sudafrica, che accusa Israele di genocidio, ha presentato una richiesta urgente alla Corte internazionale di giustizia (Icj) per valutare se la decisione annunciata da Israele di estendere le operazioni militari a Rafah non richieda «l’adozione di ulteriori misure per imminenti violazioni dei diritti dei palestinesi a Gaza».
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Per la Corte l’accusa di genocidio è plausibile
Il ministero della sanità a Gaza ieri ha riferito di altri 133 palestinesi uccisi nelle ultime 24 ore, portando il totale a 28.473 morti e 68.146 feriti dal 7 ottobre.
Resta ad alta tensione il confine tra Libano e Israele. Commentando ieri le notizie su un’iniziativa francese per mettere fine agli scontri, il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah ha ribadito che il movimento sciita interromperà i suoi attacchi soltanto quando Israele cesserà la sua offensiva a Gaza.
HA AGGIUNTO che le proposte fatte finora da paesi stranieri puntano solo a consolidare la sicurezza di Israele. Parigi ha consegnato una proposta scritta a Beirut che chiede ai combattenti, inclusa l’unità d’élite Radwan di Hezbollah, di ritirarsi di 10 km dal confine.
Gli scontri transfrontalieri hanno già ucciso circa 200 persone in Libano, tra cui più di 170 combattenti di Hezbollah, oltre a 10 soldati e 5 civili israeliani.
* Fonte/autore: Michele Giorgio, il manifesto
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