by Marinella Salvi * | 4 Febbraio 2024 9:44
Il trentenne è ricoverato a Udine con fratture multiple. Il centro è una bomba e le istituzioni lo sanno. L’anno scorso un marocchino ha provato a fuggire, è morto dopo otto mesi di coma
Precipitato sull’asfalto dopo un volo di sei metri dal tetto del Cpr di Gradisca. Venerdì sera è toccato a un tunisino di 34 anni, che probabilmente voleva fuggire, raggiungere con un balzo la recinzione esterna ma ha mancato la presa: fratture multiple e ricovero in gravi condizioni all’ospedale di Udine. I racconti parlano di una sommossa, di letti dati alle fiamme, di decine di migranti sul tetto ma è sempre difficile sapere cosa davvero succede in quel blindatissimo cono d’ombra.
Dai Cpr si cerca di fuggire e succede anche a Gradisca: tre, quattro migranti alla volta ci provano ma qualcuno cade e si fa male, anche molto male com’è successo l’anno scorso al marocchino Majid El Kodra morto dopo otto mesi di coma. Da dicembre scorso i tentativi di fuga sono aumentati e almeno cinque stranieri sono riusciti a dileguarsi mentre il clima all’interno è tutt’altro che tranquillo, forse anche come lascito delle botte che hanno caratterizzato la notte di Capodanno quando il personale del Centro aveva deciso di anticipare di diverse ore la chiusura serale delle celle e poi le proteste e poi l’intervento rude della polizia. Situazioni già viste purtroppo.
«Il Cpr è una bomba sul nostro territorio, pronta a scoppiare in ogni momento»: sono anni che lo ripete la sindaca di Gradisca, Linda Tomasinsig. Nel Cpr ci sono stati suicidi, atti di autolesionismo, un paio di morti per cause ancora non chiarite in una struttura dove non ci sono guardie carcerarie perché non è un carcere, sulla carta, ma certamente è un universo concentrazionario che genera disagio, ribellione, violenza, dove in ogni momento si può creare una situazione di emergenza che viene normalmente «risolta» facendo entrare la polizia in assetto antisommossa. Una pentola in ebollizione di cui si parla solo quando prendono fuoco i letti o qualcuno si ammazza. Ovvia conseguenza la preoccupazione dei cittadini, spesso la paura, facilmente il rifiuto. Il Cpr, tutti i Cpr, comportano costi economici, sociali e umani altissimi e questo mentre in Friuli Venezia Giulia ci sono centinaia di persone abbandonate che dormono in strada, persone che hanno chiesto asilo o che addirittura hanno già il documento in tasca.
Invece eccoci ancora alle prese con una sommossa, con un uomo in ospedale, con un Centro fatto di gabbie, mancanza di ascolto, nessun servizio: l’ha ripetuto, ancora e ancora, anche il Garante. Qui, nella Regione dove la rotta balcanica vede solo aumentare i soldati messi a inutile guardia dei confini. Repressione o abbandono e presunte invasioni. Eppure: «La situazione di abbandono di centinaia di persone – dice Gianfranco Schiavone di Ics – non è conseguenza di un alto numero di arrivi che lo Stato fatica a gestire; le domande di asilo presentate da chi arriva dalla rotta balcanica sono in media cinque al giorno, un numero basso, anzi persino ridicolo. I richiedenti vengono abbandonati per mesi in modo che il numero cresca tra un trasferimento e l’altro. È la prova che l’emergenza è voluta».
* Fonte/autore: Marinella Salvi, il manifesto[1]
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