Centri di detenzione, la Corte Europea condanna l’Italia

Centri di detenzione, la Corte Europea condanna l’Italia

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Prima sentenza europea su questi centri di detenzione per il rimpatrio. La corte ordina il trasferimento del ricorrente e l’adeguamento della struttura

 

In questi mesi sono fioccate condanne all’Italia per gli hotspot e le strutture di accoglienza, ma quella di ieri è la prima decisione con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) si pronuncia su quanto accade nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). Rispondendo a un ricorso d’urgenza presentato dall’avvocato di Asgi Angelo Raneli per conto di un cittadino tunisino trattenuto a Trapani, i giudici di Strasburgo hanno ordinato «l’immediato trasferimento del ricorrente in una struttura di accoglienza adeguata ai suoi bisogni» e «l’adozione di ogni altra misura finalizzata a garantire condizioni di vita e accoglienza adeguate nel Cpr, secondo gli obblighi stabiliti dall’articolo 3 della Convezione europea dei diritti dell’uomo». Quello che vieta i trattamenti inumani e degradanti.

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Il cittadino tunisino era stato portato nel Cpr siciliano lo scorso autunno, subito dopo lo sbarco a Pantelleria. Non ha precedenti penali e dietro le sbarre ha chiesto asilo. L’iter si dovrebbe svolgere secondo la famosa procedura accelerata che ha un tetto massimo di quattro settimane: invece non si è conclusa neanche in quattro mesi.

La prima convalida del trattenimento è stata del giudice di pace, ma dopo la richiesta d’asilo sul caso si è pronunciato anche il tribunale civile. L’ultima conferma della detenzione è arrivata poco dopo la rivolta che il 22 gennaio scorso ha reso inagibile buona parte del Cpr. In quell’udienza la questura ha riferito che, nonostante tutto, le condizioni di permanenza erano idonee. Informazioni smentite durante l’ispezione che la parlamentare dem Giovanna Iacono ha condotto il 28 gennaio.

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Da dietro le sbarre i migranti hanno denunciato di non avere letti a sufficienza, di essere costretti a dividere coperte e materassi, di contare su quantità ridotte di cibo. La deputata ha dichiarato pubblicamente che la struttura era in una situazione «insostenibile» e che le persone presenti all’interno vivevano in forte sovraffollamento per la mancanza di spazi agibili.

Come detto il ricorrente è un richiedente asilo verso cui non c’è alcun obbligo di trattenimento, ma solo la scelta di uno Stato che non si dimostra per nulla in grado di garantire condizioni minime di permanenza all’interno dei Cpr. Con la decisione di ieri rischia di aprirsi un altro filone di ricorsi, e condanne, nei confronti dell’Italia: questa volta rispetto al sistema di detenzione amministrativa, fallimentare su tutti i livelli.

* Fonte/autore: Giansandro Merli, il manifesto



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