by Roberto Ciccarelli * | 16 Gennaio 2024 10:16
Il 54esimo forum mondiale dell’economia cerca di ristabilire la «fiducia» in un sistema frammentato che ha perso credibilità. In Svizzera 60 capi di Stato, 2800 invitati, le proteste contro il «greenwashing». Oxfam denuncia l’arricchimento dei miliardari e l’impoverimento dei salari e di intere popolazioni
Saluti dalla 54esima edizione del World Economic Forum di Davos dove prevalgono la paura, la volatilità e il timore dell’instabilità: le passioni dominanti nel capitalismo finanziario. A questi umori tendenti al tetro allude il tema che sarà discusso fino a venerdì: la «fiducia». «Ci troviamo in un mondo fratturato e a divisioni sociali sempre più profonde, che portano a un’incertezza e a un pessimismo diffusi. Dobbiamo ricostruire la fiducia» ha detto l’ottantacinquenne Klaus Schwab, già docente all’università di Ginevra, patron della kermesse svizzera diventata un’impresa di successo. Vasto programma per un capitalismo che prospera in borsa sulle altalenanti passioni tristi. Quella di Schwab è un’invocazione alla Moira, la forza superiore alla volontà degli dèi. Fosche restano le previsioni sulla globalizzazione neoliberale, la divinità celebrata dal 1971 tra queste alture svizzere dove Thomas Mann ha disegnato il paesaggio per la sua Montagna incantata.
A QUESTA SEDUTA spiritica quest’anno parteciperanno 2800 uomini e donne d’affari e sessanta capi di stato. Un kolossal tanto spettacolare, quanto ornamentale dal punto di vista politico. Davos non è né un G7 né un consiglio di amministrazione, anche se si dà tante arie. È piuttosto un roadshow finanziario dove il presidente francese Emmanuel Macron venderà la sua «start-up nation» per attrarre gli investimenti esteri in Francia. O dove l’ultimo arnese del neoliberalismo più reazionario, il presidente argentino Javier Milei cercherà un sostegno per ottenere 4,7 miliardi di dollari annunciati dal Fondo Monetario Internazionale e in cambio offrirà il massacro dello Stato sociale.
PAURA E DELIRIO all’hotel Edelweiss di Davos, imponente albergo del 1900, dove il «Forum economico mondiale» rifletterà, pensoso, sulle conseguenze delle atrocità nei conflitti in Medio Oriente o in Ucraina, gli assalti alle navi nel mar rosso che hanno provocato i bombardamenti sullo Yemen di Usa e Gran Bretagna preoccupati per i portafogli occidentali. Si parlerà anche di un rapporto presentato dal Fondo Monetario Internazionale sull’intelligenza artificiale. Un classicone del catastrofismo digitale per grandi e piccini. Si prevede che avrà conseguenze sul «60%» dei lavori delle «economie avanzate» e aumenterà il divario tra chi guadagna di più e chi meno. Più che una profezia, quest’ultima è già la realtà. Servirebbe la volontà di disarticolare gli oligarchi della rete che campano sul lavoro digitale di ciascuno di noi. Ma questa volontà è assente.
NEL CIRCO MEDIATICO dove convergeranno le star politiche che servono ad attirare partecipanti paganti la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen scivolerà nei prossimi giorni tra un bilaterale con il primo ministro cinese Li Qiang, uno con il segretario di stato Usa Blinken e un altro con il presidente ucraino Zelensky. Quest’ultimo parlerà delle sue condizioni per la pace. «Una conversazione fine a se stessa che non porterà ad alcun risultato senza di noi» ha detto il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov. Il Brasile insiste sull’istituzione di un tavolo di negoziazioni tra Ucraina e Russia. Il presidente Lula si risparmierà la gita sulle Alpi e sostiene le proposte dei Brics come Sudafrica e India. Nel rebus della «guerra mondiale a pezzi» la Turchia, invece, boicotterà Davos. La posizione dei suoi organizzatori sulla guerra di Israele contro Hamas non è piaciuta a Erdogan.
SUL SET INNEVATO striato dal sole il traffico è stato interrotto l’altro giorno dagli attivisti ecologisti che accusano l’élite parolaia del Forum di essere pericolosamente compiacente con i rischi e le disuguaglianze prodotte dal «greenwashing» del capitalismo fossile. Su uno dei cartelli esposti dai manifestanti si è letto: «Wef, Wtf?», cioé: «World Economic forum, what the fuck?». La traduzione non serve, lo slogan è universale. Il resto lo ha detto Al Gore a Bloomberg: «Alcuni paesi non vogliono rispettare l’impegno sui combustibili fossili decisi al vertice Cop28».
NEL GIORNO DI INIZIO del convivio svizzero la Ong Oxfam ha pubblicato il rapporto su «Multinazionali e disuguaglianze multiple». Il suo direttore Amitabh Behar ha parlato di «disuguaglianze oscene». La ricchezza dei cinque miliardari più ricchi al mondo, tra i quali c’è Jeff Bezos di Amazon, è più che raddoppiata dal 2020 da 405 miliardi di dollari a 869 miliardi di dollari. Invece, la ricchezza del 60% più povero dell’umanità non ha registrato alcuna crescita. In Italia, un altro rapporto «Disuguitalia» (ne parliamo sotto) ha rivelato che a fine 2022 l’1% più ricco era titolare di un patrimonio 84 volte superiore a quello detenuto dal 20% più povero della popolazione, la cui quota di ricchezza nazionale si è dimezzata in un anno. Tra un decennio il mondo potrebbe avere il suo primo trilionario. Non sarà un piacere perché le grandi aziende aumenteranno i profitti mentre i salari oggi sono dimezzati dall’inflazione. La fiducia che cercano a Davos è, nei fatti, impossibile. È stata distrutta dall’avidità.
* Fonte/autore: Roberto Ciccarelli, il manifesto[1]
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