by Andrea Capocci * | 3 Gennaio 2024 19:16
Il centrodestra racconta di finanziamenti straordinari ma i Ps sono allo stremo, unica «soluzione» occupare gli altri reparti. A dicembre più 50% di chiamate al 118, manca la medicina territoriale
Da un lato c’è la narrazione della maggioranza. Nelle ultime ore del 2023, la vicepresidente forzista del Senato Licia Ronzulli l’ha riassunta così: «Abbiamo investito risorse nella sanità senza precedenti perché abbiamo a cuore la salute dei nostri cittadini». Dall’altro c’è la realtà, testarda anche nel nuovo anno. Nel Lazio, nel pomeriggio di ieri c’erano quasi 700 persone in attesa nei pronto soccorso. Oltre duemila quelle in trattamento o in trasferimento verso altri reparti. Solo al policlinico di Tor Vergata i pazienti nel dipartimento di emergenza erano quasi un centinaio. Nelle sale d’attesa del Gemelli e del Policlinico Casilino una cinquantina di persone stazionava aspettando una visita. Quasi la metà in codice bianco o verde perché il filtro della medicina di base non funziona e ci si presenta in ospedale anche per malanni minori. Il dg della sanità regionale Andrea Urbani ieri ha invitato le strutture ad ampliare i reparti e a richiamare i professionisti dalle ferie perché nei prossimi giorni «la situazione può peggiorare».
ALTROVE NON VA MEGLIO: in Piemonte i pazienti in Ps erano mezzo migliaio e in Lombardia i ricoveri ordinari sono stati sospesi per sovraccarico. Colpa di influenza, Covid e altre malattie respiratorie che secondo l’ultimo bollettino dell’Iss nella settimana di Natale hanno fatto registrare l’incidenza più alta dal 2009, l’anno in cui è iniziato il monitoraggio. Pesano soprattutto le carenze di organico. «In varie regioni sono stati attivati i piani contro il sovraffollamento da parte di ospedali e aziende sanitarie» dice Fabio De Iaco, presidente della Società italiana di Emergenza e Urgenza (Simeu). «I piani sono mirati al reperimento di ulteriori posti letto ma, dal momento che i posti ospedalieri sono cronicamente insufficienti, in pratica non si può fare altro che sottrarre letti ad altre specialità come la chirurgia. Il problema non si risolve in questo modo».
SONO GIORNATACCE anche per chi sta sulle ambulanze: a dicembre, le chiamate al 118 sono aumentate del 50%. «Molti punti di guardia medica sul territorio sono chiusi per mancanza di personale» racconta il presidente della Società Italiana 118 Mario Balzanelli. «Le ambulanze arrivano negli ospedali ma non possono lasciarvi i pazienti per mancanza di posto. I pazienti restano così sulle barelle nei mezzi di soccorso fuori dagli ospedali per ore e questo porta di fatto ad un blocco dell’attività del 118». Accade in tutte le regioni e secondo Balzanelli «la prima misura da adottare sarebbe quella di riaprire, laddove assenti, o di potenziare, le strutture intermedie dei punti di primo intervento del 118, che eviterebbero l’assalto alle ambulanze». In altre parole, la sanità territoriale: medici di medicina generale, guardie mediche, ambulatori di cure primarie che potrebbero soddisfare i bisogni più semplici lasciando alle ambulanze le vere emergenze.
NONOSTANTE LA PANDEMIA ne abbia mostrato le carenze, il territorio rimane il tallone d’Achille del Ssn. I piani avviati dal governo Conte II per rilanciarlo attraverso la rete delle Case di comunità sono stati fermati dai successori. Dopo le 1.400 tagliate da Draghi, il governo Meloni ha depennato altre 400 «case» previste dal Pnrr preferendo restituire i soldi all’Europa. Non ce ne saranno più una ogni 20mila abitanti – come inizialmente previsto – ma ogni 60/70mila, troppo poche per essere davvero strutture di prossimità. A luglio il ministero della Salute aveva istituito una commissione per riformare gli standard dell’assistenza ospedaliera e territoriale in modo organico. Doveva produrre un rapporto entro il 31 ottobre ma se ne sono perse le tracce dopo poche riunioni. Aumentano invece le risorse per le «farmacie dei servizi» sulla cui capillarità punta il governo per raggiungere i cittadini: la manovra 2024 destina loro 230 milioni di euro, dopo i 150 stanziati lo scorso anno come «remunerazione aggiuntiva».
A ROVINARE LO STORYTELLING sanitario governativo ci si mettono pure i sindacati dei medici, che dopo i tre scioperi (riusciti) di novembre e dicembre già pensano a nuove mobilitazioni. «Nei prossimi giorni discuteremo per una nuova data del primo sciopero 2024 a fine gennaio – minaccia Guido Quici, presidente del sindacato dei medici Federazione Cimo-Fesmed che si era fermato il 5 dicembre – ma siamo anche aperti a un dialogo con il ministro della Salute e con il Governo».
SULLA STESSA LINEA anche l’Anaao, la principale sigla dei medici ospedalieri. I sindacati ritengono insufficiente una manovra che spaccia come aumento degli investimenti risorse in gran parte vincolate al rinnovo del contratto dei sanitari ma che «non inverte la rotta» né «il trend dei tagli dei posti letto e degli ambulatori che hanno fatto altri esecutivi». L’Anaao studia una denuncia all’Ue per far aprire una procedura di infrazione contro l’Italia.
* Fonte/autore: Andrea Capocci, il manifesto[1]
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