Migrazioni. Aumentano arrivi via mare, meno arresti di presunti scafisti
Migrazioni, i dati delle associazioni registrano un’inversione di tendenza: 177 nel 2023. L’anno precedente erano stati 261 con un numero di sbarchi inferiore del 50%. «Ma la criminalizzazione resta un elemento cardine delle politiche italiane ed europee», avverte Sara Traylor, tra le curatrici dello studio
Lo scorso anno gli arrivi via mare sono aumentati, i presunti scafisti finiti in arresto sono invece diminuiti. Ancora una volta i numeri sull’immigrazione smentiscono il governo, le sue promesse roboanti e la continua costruzione di nemici pubblici da incolpare di questo o quel fenomeno sociale di larga portata.
STANDO AI DATI, infatti, la caccia «agli scafisti lungo tutto il globo terracqueo» che avrebbe dovuto «rompere le tratta» di migranti, parole pronunciate da Giorgia Meloni a Cutro quasi un anno fa, ha rallentato invece di accelerare. I conti li fanno le associazioni Arci Porco Rosso e Bordeline-Europe che da tempo seguono le persone accusate di guidare le barche dei migranti e nei prossimi giorni presenteranno un nuovo report.
Attraverso un monitoraggio quotidiano della stampa locale e nazionale le due organizzazioni stimano in 177 i presunti «scafisti» – definizione cui preferiscono quella di «capitani», usata dagli stessi migranti – tratti in arresto lo scorso anno. Le cifre non sono ufficiali, ma negli anni scorsi con quel tipo di rilevazione hanno permesso di individuare due terzi del totale degli arrestati resi pubblici successivamente dalla polizia. Si arriverebbe così a circa 250 casi. Nel 2022 erano stati 261. Più che il confronto in termini assoluti conta quello relativo agli sbarchi che da un anno all’altro sono cresciuti del 50% (da 105mila a 157mila).
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«NEL 2023 sono state arrestate circa tre persone ogni 200 arrivi. Nel 2021 e nel 2022 il tasso di criminalizzazione era due volte più alto», scrivono le associazioni che calcolano 3.250 arresti dal 2013. È utile ricordare che in tutti questi casi non si parla di trafficanti.
Chi organizza i viaggi e realizza grossi profitti sull’assenza di canali legali di ingresso in Europa non sale sui barconi a rischio naufragio. Chi guida le barche invece, come raccontano il film Io capitano e tante storie uscite dai tribunali negli ultimi dieci anni, spesso lo fa per evitare violenze, sotto la minaccia delle armi o perché impossibilitato a pagarsi il viaggio. Molte volte manca la percezione di andare incontro a conseguenze penali gravissime.
LE ASSOCIAZIONI ipotizzano due spiegazioni per questo trend: il fatto che le navi Ong siano indirizzate sistematicamente in porti del nord dove ci sarebbe meno interesse ad arrestare gli scafisti e i Gip locali tenderebbero a non convalidare fermi basati su prove deboli; una diversa politica ad Agrigento e Lampedusa che invece di arresti sistematici dopo gli sbarchi si concentra su casi specifici in cui si registrano morti durante il viaggio, torture o, per la prima volta, anche pirateria. Su questo secondo aspetto, il più rilevante, il procuratore aggiunto di Agrigento Salvatore Vella ha spiegato in un’intervista a Repubblica che lo scorso anno c’è stato un forte aumento dei barchini in ferro partiti dalla Tunisia su cui «è difficile individuare un soggetto che abbia realmente commesso il reato e non ne sia vittima».
Nel frattempo molti arresti sono stati realizzati nei porti della Sicilia orientale e della Calabria. La prima provenienza dei presunti scafisti, come nel 2021-2022, resta l’Egitto. Nell’ultimo triennio sono stati circa 300 i cittadini di quel paese portati in carcere. Una significativa differenza in termini di nazionalità si registra sulla rotta ionica, che parte dalla Turchia e finisce sulle coste calabresi. Qui fino al 2021 la maggior parte delle persone finite nei guai perché alla guida delle barche erano russi e ucraini. Le cose sono cambiate dall’anno seguente, con l’invasione ordinata da Putin. Le persone fermate lo scorso anno venivano soprattutto da Kazakistan, Turkmenistan, Tagikistan. In totale sono una quarantina e si trovano in prigione.
«NONOSTANTE PER ORA siano diminuiti gli arresti, la strategia politica rimane la stessa: la criminalizzazione dei capitani è un elemento cardine delle politiche italiane ed europee – dice Sara Traylor, di Arci Porco Rosso – Lo dimostra il decreto Cutro che inasprisce le pene. A marzo 2023 nelle carceri italiane risultavano più di 1.000 persone con accuse di questo tipo. Finché il numero non si azzererà il fenomeno rimarrà oggetto di forte contestazione per chi difende la libertà di movimento».
* Fonte/autore: Giansandro Merli, il manifesto
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