by Roberto Maggioni * | 15 Dicembre 2023 15:53
Le testimonianze nell’ordinanza di sequestro. La prefettura «non poteva non sapere». L’ente gestore era stato prorogato, nonostante le irregolarità comprovate
MILANO. Ora che il segreto di Pulcinella è noto a tutti bisognerà spiegare perché le istituzioni che erano a conoscenza delle condizioni di vita disumane all’interno del Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) di via Corelli non sono intervenute per tempo. A partire dalla Prefettura di Milano che supervisiona la gestione del centro per il Viminale. Dagli atti dell’inchiesta della procura meneghina che ha portato mercoledì sera al sequestro del ramo d’azienda della Martinina Srl, che gestisce la struttura di via Corelli, emerge che il 13 novembre scorso la prefettura le aveva rinnovato il contratto per tutto il 2024. Eppure sapevano che la situazione era critica.
Posso dire che era un vero e proprio lager, neanche i cani sono trattati così nei canili. Largo uso di psicofarmaci, cibo spesso scaduto, avariato
Era stata la stessa prefettura, a poche ore dalla diffusione della notizia dell’inchiesta della procura il primo dicembre, a dire che «erano emerse criticità gestionali nell’ambito della [sua] costante e approfondita attività di monitoraggio», perciò «aveva avviato a carico dell’ente gestore un procedimento amministrativo per la contestazione di talune condotte ritenute contrarie agli obblighi contrattuali». Il procedimento si era concluso con una maxi sanzione, ma allora perché il contratto è stato rinnovato per un altro anno?
«NON SIAMO STUPITI che il rinnovo fosse già stato previsto, ma siamo preoccupati» dice Riccardo Tromba, presidente del Naga, l’associazione che insieme alla rete Mai Più Lager – No Ai Cpr ha scritto i dossier che hanno portato all’apertura dell’indagine della magistratura. «La prefettura conosceva da tempo le condizioni formali e materiali di gestione del Cpr e questo non le ha impedito di autorizzare il rinnovo come se nulla fosse», aggiunge. L’avvocata della rete No ai Cpr Teresa Florio, che ha partecipato alle ispezioni fatte dall’associazione con l’ex senatore Gregorio De Falco, racconta che «ogni volta che siamo entrati tra il 2021 e il 2023 avevamo sempre come interlocutore un funzionario della prefettura al quale abbiamo esposto tutti i problemi. Abbiamo fatto circa 68 segnalazioni. Loro nel centro hanno un ufficio in pianta stabile». L’avvocato Eugenio Losco, che collabora con il Naga, si aspetta un allargamento dell’inchiesta: «mi sembra strano che non vi siano indagini anche su responsabilità quantomeno omissive o di controllo, che spetterebbero alla Prefettura».
ANCHE L’ASGI, l’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, si è interessata negli anni al Cpr di via Corelli. «Una domanda sorge spontanea: chi controlla i controllori?» si chiedeva l’associazione in un report inviato all’Autorità Nazionale Anticorruzione a novembre 2023.
MA SONO LE TESTIMONIANZE degli ex operatori che hanno lavorato nel centro, raccolte dai pm Paolo Storari e Giovanna Cavalleri, a descrivere con precisione l’inferno del Cpr. «Sinteticamente posso dire che era un vero e proprio lager, neanche i cani sono trattati così nei canili», racconta un’ex operatrice della Martinina. «In primo luogo vi è un largo uso di psicofarmaci dati come fossero caramelle e ad alti dosaggi. Durante l’estate poteva capitare che il sapone, pur presente, non veniva dato ai trattenuti, per cui in pratica le docce non venivano fatte.
Gli veniva impedito di parlare con gli avvocati. Il cibo molto spesso era scaduto, avariato». Racconta ancora: «Ricordo una volta che, poiché erano avanzate delle vaschette di pasta, erano state offerte a noi dipendenti. A me sembrava pasta con il gorgonzola, in quanto aveva un odore rancido, poi mi sono accorta invece che era pasta con le zucchine andata a male. Ho cercato di evitare che venisse mangiata dai trattenuti, ma non sono arrivata in tempo, 40 persone hanno avuto un’intossicazione alimentare. Quasi tutti i giorni il cibo era scaduto o avariato».
RACCONTA UN ALTRO ex operatore: «Vorrei far presente che nell’ambulatorio mancava tutto, non c’erano bende, disinfettanti, guanti, dispositivi di protezione individuale, strumentario per dare punti in caso di ferite. Nel Cpr vi era un cartello che diceva di non chiamare l’autoambulanza per vicende inferiori al codice giallo». Allegate alle carte dell’inchiesta ci sono anche le foto (alcune le mostriamo in questa pagina) e i video girati dai migranti nel centro, oltre alle chat con gli attivisti. Una lunga sequenza di pavimenti sporchi di sangue, bagni otturati, persone che dormono in stanze sporche, cibo con vermi bianchi, tentativi di suicidio, atti di autolesionismo. Il 2 novembre 2022 agli attivisti arriva uno scatto. C’è la bocca di un ragazzo con le labbra cucite con il filo di ferro, sopra un messaggio: «buonasera, io voglio morire».
* Fonte/autore: Roberto Maggioni, il manifesto[1]
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