Presidente e governo hanno solo fretta di voltare pagina, dopo questa vittoria di Pirro. La legge è passata all’Assemblée nationale con 349 voti contro 186. Con un falso pudore, Macron si era impegnato a non promulgare la legge se i voti del Rassemblement national fossero stati determinanti: non lo sono stati, cioè la legge sarebbe passata lo stesso senza gli 88 voti del partito di Le Pen, ma se l’estrema destra avesse votato contro il testo sarebbe stato bocciato. Per il portavoce del governo, Olivier Véran, non c’è nessuna crisi politica, non c’è stata la «fronda ministeriale» minacciata la vigilia, anche se, ammette – è un ex socialista – ci sono degli aspetti della legge che lo «imbarazzano». Anche la presidente dell’Assemblée nationale, Yaël Braun-Pivet, ha delle «difficoltà» ad accettare tutte le misure. All’Assemblée, la maggioranza relativa di Macron si è spaccata: su 251 deputati, 59 hanno votato «No», 20 sui 170 di Renaissance con 17 astenuti, voti contro anche tra gli alleati del MoDem e di Horizon. Un quarto dei deputati dell’area Macron non ha approvato il testo. Ieri, nel governo c’è stata una corsa a minimizzare la portata della nuova legge, per nascondere una svolta di fondo: Macron è andato all’Eliseo con un programma di apertura contro la chiusura della destra, con una promessa di progresso e ottimismo contro la reazione si era impegnato a combattere l’estrema destra.

La nuova legge, la 29esima da una quarantina di anni, è molto più a destra del progetto presentato dal ministro degli Interni, Gérald Darmanin (che viene dalla destra), perché la Commissione mista paritaria (7 senatori, 7 deputati) che ha trovato un’intesa in tempi record, dopo il voto di rigetto all’Assemblée in seguito a una mozione della sinistra, ha esaminato il testo emendato e approvato al Senato (dove la destra ha la maggioranza). Tutto l’iter della legge è stato un naufragio democratico. Anche la sinistra vi ha contribuito, con la mozione di rigetto, che ha impedito il dibattito parlamentare all’Assemblée e la possibilità di riequilibrio della legge. Destra e estrema destra hanno forzato il testo, già all’origine problematico, per trasformarlo in un attacco ai diritti. L’estrema destra canta vittoria, afferma che ormai la Francia ha adottato la «preferenza nazionale», cioè diritti diversi per i franco-francesi e per gli stranieri. Per tutta la giornata di ieri, l’area Macron si è sfinita nel tentativo di negare la «preferenza nazionale». Ma nel testo c’è una condizionalità per accedere alle prestazioni sociali non contributive, restrizioni sul ricongiungimento famigliare (che contraddicono le leggi europee). Viene messo in discussione lo ius soli, per le persone nate in rancia da genitori stranieri alla maggiore età bisognerà fare la domanda di nazionalità, non c’è più l’automaticità. C’è la privazione della nazionalità per i binazionali condannati per omicidio di personalità pubbliche. Vengono imposte delle «quote» di immigrati, una cauzione per gli studenti stranieri, giudicata «indegna» dai presidenti di università e criticata da Macron. Ma il governo afferma di aver comunque fatto passare la regolarizzazione di lavoratori, una misura che dovrebbe riguardare 10mila persone l’anno.

Ci sono già le prime contestazioni: i 32 dipartimenti su 101 governati dalla sinistra (anche Parigi) rifiutano di applicare la legge che limita le prestazioni sociali agli immigrati, denunciando la «preferenza nazionale». Il costituzionalista Dominique Chagnollaud mette in guardia su un altro rischio: questa legge porta a una riforma costituzionale, esattamente quello che chiedono destra e estrema destra, sempre più unite, e sullo sfondo c’è la contestazione della priorità delle leggi europee su quelle nazionali, il campo di battaglia dei nazionalisti.

* Fonte/autore: Anna Maria Merlo, il manifesto[1]