Gaza. La guerra delle parole che copre e accompagna quella delle bombe

Gaza. La guerra delle parole che copre e accompagna quella delle bombe

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Ceasefire, cessate-il-fuoco era troppo: veto. Pause umanitaria sembrò funzionare: durò pochi giorni, poche ore al giorno. Quindi è stato proposto cessation delle ostilità: neanche a parlarne. Ora si tratta su suspension

 

Ceasefire, cessate-il-fuoco era troppo: veto. Pause umanitaria sembrò funzionare: durò pochi giorni, poche ore al giorno. Quindi è stato proposto cessation delle ostilità: neanche a parlarne. Ora si tratta su suspension, naturalmente urgente, naturalmente non subito.

La guerra delle parole nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite sembra senz’altro meglio della guerra delle bombe su Gaza, ma ne è la continuazione con altri mezzi e prima o poi finiremo a farci promettere una transition away anche dai bombardamenti, come già dai combustibili fossili in un’altra recentissima assise Onu. E come alla Cop28 transiremo con comodo, entro il 2050 e triplicando il nucleare, certo moltiplicando i sepolcri.

Le guerre corrono più veloci dell’Onu, ormai da molto tempo. Il sogno di un pugno di uomini potenti, nato a Yalta sulle ceneri di un mondo offeso ma già prontissimo a offendersi ancora, mostra la feroce evidenza dei suoi limiti come già in Iraq (due volte), in Afghanistan, in Ucraina dove ancora si combatte… . Imbrigliato da un veto dopo l’altro, incapace di far rispettare il poco che ne sfugge. E inchiodato da un potente solo.

Sul Medio oriente i veti vengono tutti dalla stessa parte dell’Atlantico. Dagli anni Settanta fino alla guerra in corso, il Consiglio di sicurezza ha discusso 47 risoluzioni che riguardavano Israele. Gli Stati uniti hanno messo il veto a tutte, tranne una alquanto generica, a iniziare dal remoto ’72. Per 34 volte hanno messo il veto a risoluzioni specifiche su Israele e Palestina – contro le due di Russia e Cina, per dire.

Eppure nella Carta dell’Onu la parola veto non c’è. Si deduce, si inferisce dalle norme di voto, ma non c’è. Washington da sola tiene il mondo appeso a una parola che non c’è. In un’istituzione mondiale che funziona poco e male, ma che è tutto ciò che abbiamo.

* Fonte/autore: Roberto Zanini, il manifesto



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