Sono arrivate notizie di case colpite a Khan Yunis, Rafah, Sheikh Radwan, Al Maghazi, Jabaliya, di bombe e missili caduti a pochi metri da scuole e altre strutture pubbliche dove si trovano migliaia di sfollati. Di famiglie decimate, come la Qandil (7 morti) e la Idwan (9 morti). Due infermieri sono stati uccisi da una bomba mentre evacuavano feriti nei pressi dell’ospedale Shifa di Gaza city, di fatto non più operativo. Israele, ha denunciato il portavoce della Protezione civile, Mahmoud Basal, ha commesso «una vera carneficina a Shujaiya causando la morte di circa dieci persone, cinque cittadini sono stati uccisi in un raid lungo la via Salah al Din (la superstrada di Gaza, ndr) nonostante avessero una bandiera bianca. Ha mirato a case e mezzi di trasporto». In serata la Mezzaluna rossa ha comunicato che Israele ha deciso di bloccare l’ingresso a Gaza attraverso il valico di Rafah di qualsiasi aiuto umanitario fino a nuova disposizione. Una decisione che, se confermata ufficialmente da Israele, rappresenterà un colpo durissimo per il soccorso ai quasi due milioni di palestinesi che, come sfollati o residenti, si trovano nel sud di Gaza. A nulla sono valsi gli appelli a fermare la guerra e a tornare al cessate il fuoco per rifornire e assistere i civili, lanciati dai funzionari delle più importanti ong e agenzie umanitarie e dallo stesso segretario generale dell’Onu Guterres. Philippe Lazzarini, commissario generale dell’Unrwa (profughi), in una intervista ha avvertito che «presto i palestinesi cominceranno a morire per le malattie» e non solo per la guerra.

Hamas, che secondo Israele ha subito colpi devastanti prima del cessate il fuoco e la perdita di centinaia di comandanti e di migliaia di uomini, ieri non è rimasto a guardare. In vari punti del nord e a Gaza city, nei pressi dell’ospedale Rantisi, i suoi militanti si sono scontrati con le forze israeliane. E ha lanciato decine di razzi verso il sud e il centro di Israele, inclusa Tel Aviv. Ai combattimenti hanno partecipato altri gruppi armati come il Jihad islamico e le Brigate dei Martiri di Al Aqsa (Fatah). Colpi di mortaio hanno ferito cinque soldati israeliani. Tensione e scontri a fuoco tra Israele e Hezbollah, con due morti, sono avvenuti di nuovo anche al confine nord tra Libano e Stato ebraico.

Israele accusa il movimento islamico palestinese di aver violato i termini della tregua non fornendo entro le 7 di ieri mattina l’elenco con i nomi di altre 10 donne e minori israeliani tenuti in ostaggio a Gaza dal 7 ottobre – inclusa la famiglia Bibas: madre e due figli (uno di 10 mesi) – che si era detto pronto a liberare in aggiunta agli 81 rilasciati nei giorni precedenti (a questi si aggiungono oltre 20 stranieri) in cambio della scarcerazione di prigionieri politici palestinesi. Sempre secondo quanto afferma Israele, Hamas avrebbe nelle sue mani ancora 17 donne e minori, ma ora vorrebbe inserire nel negoziato mediato dal Qatar anche il rilascio di soldati e di adulti maschi in cambio di un numero maggiore di prigionieri palestinesi inclusi quelli noti. Così facendo Hamas, dice il gabinetto di guerra israeliano, ha causato la fine della tregua. Di quattro ostaggi, del Kibbutz Nir Oz, inoltre è stato accertato il decesso.

Hamas ha una spiegazione diversa. Un suo leader, Osama Hamdan, ha detto alla tv Al Arabiya che Israele è responsabile del crollo della tregua perché avrebbe cercato di includere donne soldato nella lista dei civili, rifiutando poi ogni altra proposta. Difficile verificare le versioni delle due parti. Tuttavia, il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, ha detto di aver dato giovedì sera e non ieri mattina il via libera al proseguimento dell’offensiva a Gaza. E con ogni probabilità la ripresa della guerra aveva ottenuto la benedizione già al mattino quando il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, ha ribadito che l’Amministrazione Biden continua a sostenere il «diritto di Israele a difendersi» da Hamas proteggendo però di più i civili, gli ospedali, le scuole, le strutture civili ed evitando lo sfollamento dei cittadini di Gaza. Gli israeliani, ha aggiunto, dovranno designare più zone sicure nel nord e nel centro di Gaza per i civili. I fatti l’hanno smentito.

Ieri mentre su Gaza cadevano bombe mietendo vittime, Israele ha lanciato alla popolazione palestinese volantini in cui intima agli abitanti di varie località ad Est di abbandonare subito le loro case e di andare ad ovest. Lo stesso vale per i 400mila palestinesi che vivono a Khan Yunis, proclamata «zona di guerra». Nei volantini Gaza appare suddivisa in centinaia di minuscoli quadrati indicati da un numero: i civili dovrebbero recarsi nei settori che di volta in volta saranno indicati dall’esercito israeliano prima di incursioni militari. In quei volantini è segnata una «zona cuscinetto» che arriva fino al confine con l’Egitto. A sera si è saputo che Israele ha informato Egitto, Giordania, Emirati, Turchia e Arabia saudita che vuole ritagliare una fascia di sicurezza sul lato palestinese del confine di Gaza. Un consigliere del premier Netanyahu ha spiegato che si tratta di un piano «la smilitarizzazione di Gaza e la deradicalizzazione» del piccolo territorio palestinese. Israele prima del ritiro di coloni e soldati da Gaza nel 2005, aveva dato priorità al controllo del cosiddetto «Corridoio Filadelfia», la quindicina di chilometri che segnano il confine tra la Striscia e l’Egitto, per monitorare qualsiasi movimento da e per Gaza, anche sotterraneo. La «zona cuscinetto» è un salto all’indietro di 18 anni.

* Fonte/autore: Michele Giorgio, il manifesto[1]