Papa Francesco: «Questa non è guerra, è terrorismo»
Doppio incontro con parenti israeliani degli ostaggi («delusi») e una delegazione di palestinesi gazawi. Dura replica di Di Segni (Ucei): «La Chiesa rischia di ripetere quanto accaduto durante la Shoah»
«Questa non è guerra, questo è terrorismo». Lo ha detto ieri mattina papa Francesco, al termine dell’udienza generale in Vaticano, durante i saluti ai fedeli di lingua italiana.
UN’AFFERMAZIONE FORTE, che evidentemente si riferisce, senza nominarli, sia all’azione armata di Hamas del 7 ottobre sia alla rappresaglia di Israele che, dopo settimane di bombardamenti e di assedio, ha invaso la Striscia di Gaza, in un’operazione militare che ha assunto i connotati di una vendetta e, appunto, di vera e propria azione terroristica indiscriminata contro i civili.
«Siamo andati oltre le guerre», ha affermato il pontefice, «questo non è guerreggiare, questo è terrorismo».
Prima dell’udienza, alle 7.30 del mattino, Bergoglio ha ricevuto, in forma privata, un gruppo di dodici familiari degli ostaggi israeliani rapiti da Hamas. E, mezz’ora dopo, un gruppo di dieci palestinesi, sia musulmani che cristiani, accompagnati dal parroco della chiesa della Sacra Famiglia a Gaza, che hanno parenti intrappolati a Gaza oppure prigionieri in Israele. «Loro soffrono tanto e ho sentito come soffrono ambedue, le guerre fanno questo», ha raccontato lo stesso Bergoglio durante l’udienza generale.
Proprio attorno a questo doppio incontro, si è sviluppato una sorta di confronto a distanza fra le due delegazioni. Alcuni dei parenti degli ostaggi israeliani, infatti, hanno espresso «delusione», perché il papa «non ha nominato Hamas e non ne ha parlato come di un’organizzazione terroristica. Ha detto solo che la guerra deve finire». E durante la conferenza stampa, è stato detto, sempre dagli israeliani, che «non ci può essere nessuna equivalenza tra Hamas, che è un’organizzazione terroristica e si fa scudo dei civili e Israele che difende i civili».
PAROLE A CUI SI È ASSOCIATA, sebbene non presente all’incontro, anche Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane: «Il papa mette tutti sullo stesso piano, chi si difende e chi invece ha un disegno di terrore e di sterminio degli ebrei, così la Chiesa rischia di ripetere ciò che è accaduto durante la Shoah, non vogliamo altro silenzio».
Dal canto loro i palestinesi hanno invitato il pontefice a visitare Gaza, perché «lui può fermare la guerra e portare la pace alla gente di Palestina» (è «una buona idea», avrebbe commentato Bergoglio, «quando la situazione lo permetterà»). «Il cessate il fuoco – hanno aggiunto – non è sufficiente: quello che viviamo oggi è una pausa militare che mantiene lo status quo delle ostilità». Poi Shrine Halil, cristiana di Betlemme presente all’incontro con il pontefice, ha riferito che «il papa ha riconosciuto che viviamo un genocidio» e che «il terrorismo non si combatte con il terrorismo». Se sulla seconda affermazione c’è stato una sorta di silenzio assenso da parte della sala stampa della Santa sede – del resto pare coerente con le parole pronunciate durante l’udienza generale -, la frase sul genocidio è stata smentita. «Non mi risulta che abbia usato tale parola», ha dichiarato il portavoce vaticano Matteo Bruni. A cui hanno replicato i palestinesi: «Il papa ha utilizzato la parola genocidio. Lo abbiamo sentito tutti e dieci».
IN SERATA LA SANTA SEDE ha proposto una campagna speciale di preghiera per la pace nel mondo e in particolare in Palestina. «Il popolo palestinese e il popolo di Israele hanno il diritto alla pace, hanno il diritto di vivere in pace: due popoli fratelli», l’appello del papa nel videomessaggio di lancio dell’iniziativa. «Preghiamo per la pace in Terra santa. Preghiamo perché le controversie vengano risolte con il dialogo e i negoziati e non con una montagna di morti da entrambe le parti».
* Fonte/autore: Luca Kocci, il manifesto
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