IL PREMIER Rishi Sunak e il leader laburista Keir Starmer sono entrambi ancora fermi alle «pause umanitarie» a Gaza, mentre la conta dei morti non si ferma. Organizzata dalla Palestine Solidarity Campaign, dai Friends of Al-Aqsa, dalle Stop the War Coalition, Muslim Association of Britain, Palestinian Forum in Britain e dai veterani della Campaign for Nuclear Disarmament, la quinta «demo» londinese consecutiva settimanale per il cessate il fuoco su Gaza è stata anche la seconda più imponente della storia britannica.

Si sono raccolti attorno alle dodici nell’aria ancora tagliente di una limpida mattinata di novembre a Hyde Park, per poi scivolare pacificamente lungo Park Lane, davanti agli albergoni inaccessibili al 99% e ai concessionari di supercar, fino all’ambasciata americana a Vauxhall, appena a sud del Tamigi, vicino alla pinkfloidiana ex centrale termoelettrica di Battersea. Sono un fiume di bandiere, kuffiyeh, studenti, famiglie, bambini, molti i migranti e i britannici di seconda e terza generazione.

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Gli slogan vanno da «Dal fiume al mare, Palestina libera» a «Cessate il fuoco, ora!»; da «A migliaia, a milioni, siamo tutti palestinesi» a «Palestinians lives matter». Nutrita la presenza di piccoli gruppi di ebrei socialisti e anti-imperialisti, primi fra tutti i militanti della Jewish Voice for Labour.

Dalle quattro in poi a fine corteo ci sono stati gli interventi, tra cui quello del sindacalista della Rmt Mick Lynch, dell’ambasciatore palestinese a Londra Husam Zomlot e di Jeremy Corbyn. La manifestazione arriva dopo una settimana di polemiche roventi. Il percorso era stato appositamente pensato come neutro, delimitato, lontano dalle sedi governative.

Per via di timori di violenze, fomentati dalla ministra dell’Interno Suella Braverman e poi rivelatisi infondati, non è passato per il distretto governativo di Whitehall. Gruppi di estrema destra – un centinaio di persone in tutto – si erano dati appuntamento per «difendere» il Cenotaph, il memoriale di Guerra, che però era già ben difeso dalla polizia.

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Alla fine gli arresti sono stati oltre ottanta e tutti di membri della English Defence League, come di svariate tifoserie fascio/nazionaliste, mobilitatisi sperando di entrare in contatto con i manifestanti. «Non siete più inglesi», gridano ai poliziotti. Per il resto nessun incidente, nessuna statua di ottimati dell’impero inglese imbrattata, nessuno scontro con la polizia.

PROPRIO lo svolgersi del corteo durante l’Armistice Day – che con oggi, Remembrance Sunday, costituisce le sentitissime 48 ore annuali di cordoglio nazionale in onore dei caduti di tutte le guerre – aveva fatto sgolare dagli strilli i media e i politici di destra.

A citare testualmente Braverman, si temevano «profanazioni» dei monumenti da parte delle «orde» filopalestinesi. Per tutta la settimana, la stessa Braverman aveva gettato benzina sul fuoco delle polemiche con una sfilza di dichiarazioni odiose (i senzatetto vivono per strada per scelta, le succitate «orde palestinesi», la sinistra radicale che godrebbe di favori e indulgenze negate invece alla destra, ecc.).

Il culmine l’ha raggiunto attaccando il capo della polizia Mark Rowley in un articolo sul Times che accusava la polizia di doppi standard: sarebbero troppo miti con la sinistra radicale e troppo duri con la destra. Un articolo destabilizzante e di portata costituzionale, uscito senza l’imprimatur del premier che sarebbe furioso nei suoi confronti.

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QUELLO di Braverman sembra ormai un reiterato tentativo di farsi cacciare da Sunak che dovrebbe (il tentativo) aprirle la strada verso la leadership del partito. La defenestrazione potrebbe avvenire già domani, secondo i media generalisti, o forse dopo mercoledì, quando la Corte suprema si esprimerà in merito alle deportazioni di migranti irregolari in Ruanda in cui Braverman ha investito tutto il proprio capitale politico. La ministra è ora il vero volto della destra Tory reazionaria, una fazione ormai talmente estremista da far impallidire il compianto Ukip di Nigel Farage (di cui si sussurra un imminente tesseramento Tory).

Sa che la migrazione rimane uno dei nodi principali della politica interna e la sua retorica altamente infiammabile di certo contribuisce all’impennata di crimini di odio antisemita e islamofobo in corso nel paese.