Francesca Albanese, ONU: «La politica è inerte di fronte a un’istanza di pulizia etnica»

Francesca Albanese, ONU: «La politica è inerte di fronte a un’istanza di pulizia etnica»

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Intervista alla relatrice speciale dell’Onu per la situazione nei Territori occupati palestinesi: «Registriamo un intento eliminatorio molto forte: al cuore sta il legame tra l’intenzione dichiarata dal governo israeliano e la capacità di portare a termine quell’intenzione. Le Nazioni unite vivono il momento peggiore della loro storia: non riescono ad assumere decisioni»

 

Francesca Albanese, relatrice speciale Onu sulla situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati, nell’ultimo comunicato dei relatori speciali, gli esperti indipendenti e i gruppi di lavoro Onu si parla di crescente incitamento al genocidio nella Striscia di Gaza. Quali elementi dimostrano intenzioni genocidarie da parte di Israele?

In comunicati precedenti abbiamo parlato di grave rischio di genocidio, nell’ultimo di un genocidio in divenire. Ai sensi della Convenzione del 1948 per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, deve essere presente «l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso», attraverso atti come uccisione e lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo e il sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale. L’intento di distruggere un gruppo in tutto o in parte si evince dai comunicati e dalle politiche e dalla connessione tra ciò che dicono i leader e ciò che fanno gli esecutori materiali, ovvero i soldati. Elementi sono le dichiarazioni dei militari sul campo che dicono di avere l’ordine di distruggere, scacciare e colonizzare, dei rappresentanti del governo che dicono che i palestinesi sono tutti terroristi o tutti animali e quindi devono pagare, ma soprattutto l’intenzione dichiarata dello sfollamento da nord a sud e poi da est a ovest. C’è un intento eliminatorio molto forte. Al cuore sta il legame tra l’intenzione dichiarata e la capacità di portare a termine quell’intenzione.

Le violazioni del diritto internazionale in corso a Gaza sono state denunciate a più riprese dalle Nazioni unite e dalle loro agenzie. Per questo l’Onu sta subendo una delegittimazione molto pericolosa. Quali saranno gli effetti di questa campagna di indebolimento del diritto internazionale e delle sue istituzioni?

Credo che le Nazioni unite stiano vivendo il momento peggiore della loro storia, una crisi apocalittica dal punto di vista politico perché l’organizzazione non riesce ad assumere decisioni politiche. Dopo 40 giorni di bombardamenti a tappeto su Gaza ancora non si riesce a chiedere all’unisono un cessate il fuoco. Si parla di pause umanitarie per far respirare un po’ le persone e far arrivare lì un minimo di aiuti. Che comunque non arriveranno. L’inviato speciale umanitario degli Stati uniti dirige i lavori in barba alle Nazioni unite. A oggi sono entrati 700 convogli che servono a malapena a soddisfare i bisogni del 4-5% della popolazione, a fronte della devastazione di ospedali e scuole. Quei luoghi sono diventati centri di detenzione, è l’inferno e non si riesce a riprendere il controllo della situazione perché Israele fa ciò che vuole.

Da 75 anni Israele non rispetta le risoluzioni Onu. Si sente autorizzato a farlo perché non è mai stato sanzionato?

C’è sempre stata impunità ma questa volta è più grave: è evidente che Israele sta agendo per scacciare i palestinesi da nord a sud e sta parlando da tempo di soluzione egiziana, espellerli in Sinai. Uno sfollamento che vediamo anche in Cisgiordania, dove i coloni e armati e i soldati stanno svuotando interi villaggi, uccidono e torturano impunemente.

Da più parti, soprattutto dai paesi del sud globale, giunge la richiesta di una riforma delle Nazioni unite e del Consiglio di Sicurezza, il cui potere antistorico è simbolo di una «colonizzazione» del diritto internazionale. Cosa ne pensa?

Penso siano richieste legittime, ma non credo sarà facile realizzarle: da tantissimi anni si discute di riformare il Consiglio di Sicurezza, ma dovrebbero essere gli stessi Stati membri che godono del privilegio del veto a rinunciarvi. E non ne sembrano intenzionati. Forse il sistema crollerà prima che lo si riformi.

Al cuore della più ampia questione palestinese c’è il ritorno dei profughi archiviato da sette decenni. Anzi, assistiamo a nuove ondate di sfollamento: rappresentanti del governo israeliano parlano apertamente di Nakba 2023.

Fa sorridere in modo amaro: per 75 anni Israele ha negato la Nakba, ora i suoi politici la invocano a gran voce. Ma ancora più sconvolgente è che il mondo non se ne curi. Se ne cura la società civile che scende in massa per piazza, ma la classe politica rimane inerte di fronte alla più grande istanza di pulizia etnica da parte di Israele nei confronti del popolo palestinese, un’istanza che passa in tv attraverso le parole dei suoi ideatori militari e politici. Il diritto internazionale prevede l’obbligo di prevenire i crimini e non solo di creare tribunali speciali per punirli una volta realizzati.

Il procuratore della Corte penale internazionale prosegue nella raccolta di materiali sui crimini commessi. Si può giungere a un’incriminazione?

Ci si può giungere visto il materiale raccolto, ma non so se ci sia la volontà politica. A questo punto non c’è altra via se non la Corte penale internazionale perché quello che Israele sta facendo è di una violenza efferata senza precedenti.

* Fonte/autore: Chiara Cruciati, il manifesto



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