by Pasquale Porciello * | 14 Ottobre 2023 11:37
La vittima lavorava per Reuters. I reporter protestano a Beirut. Manifestazioni nel paese dei Cedri e nelle capitali mediorientali. Human Rights Watch denuncia: nel territorio libanese e a Gaza, Tel Aviv ha usato fosforo bianco
Il cameraman Issam Abdoullah dell’agenzia Reuters è stato ucciso, mentre i colleghi che stavano nel veicolo colpito dall’artiglieria israeliana sono rimasti feriti. «È stato un attacco mirato, si tratta di giornalisti di grande esperienza che indossavano elmetto e giubbotto con la scritta Press, così come l’auto su cui si trovavano. Era impossibile sbagliarsi», ha dichiarato Ali Hashem di Al Jazeera da Alma ash-Shahab, dove l’attacco è avvenuto e dove anch’egli stava lavorando.
I FERITI sono Thaer Al-Sudani e Maher Nazeh di Reuters, Carmen Joekhdar ed Elie Brakhya di Al Jazeera e due giornalisti della francese Afp. Una cinquantina di giornalisti libanesi e internazionali si sono riuniti ieri sera davanti al museo nazionale per omaggiare Abdoullah. Il sindacato libanese di categoria ha bollato l’atto come «crimine deliberato». La mente di tutti è andata subito a Shireen Abu Akleh di Al Jazeera uccisa in Cisgiordania a maggio 2022 dall’esercito israeliano.
Il sud del Libano è diventato ormai un fronte di guerra. Ieri pomeriggio una postazione dell’esercito libanese è stata colpita da Israele senza però causare vittime, sempre ad Alma ash-Shahab. Hezbollah ha rilasciato un comunicato in cui annuncia di aver colpito quattro obiettivi su quattro diversi fronti nel nord di Israele che avrebbero però causato vittime. Human Rights Watch ha confermato giovedì in un report l’uso di bombe al fosforo bianco negli attacchi al sud del Libano nei giorni passati, come a Gaza.
Dalla mattina manifestazioni in tutto il paese e nella capitale Beirut. A Dahyeh, roccaforte sciita Amal/Hezbollah, è intervenuto il secondo in carica del movimento sciita Naim Qassem: «Tutti si chiedono cosa farà Hezbollah. Seguiamo gli sviluppi costantemente. Prenderemo parte a questa operazione in conformità con i nostri piani e la nostra visione al momento opportuno. (…) La nazione tutta deve partecipare, con i mezzi che ha a disposizione, al confronto con Israele». A Downtown migliaia di persone con bandiere della Palestina, di Amal, Hezbollah, Hamas e altri gruppi della resistenza sono scese in strada accompagnati da leader politici e religiosi.
A MAR ELIAS, dove sta uno dei 12 campi profughi palestinesi, si sono radunati un centinaio di giovani in una manifestazione apartitica. Altre manifestazioni per lo più politicizzate si sono svolte a Saida, Nabatieh, Tiro, Ba’albak e in altre località dove la presenza sciita o palestinese è forte.
Il ministro degli esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian in visita ufficiale in Libano ha incontrato il premier Mikati giovedì sera: «L’obiettivo della mia visita è preservare la calma nel paese. Propongo un incontro con tutti i leader della regione per trovare una soluzione», ha detto.
Mikati, nonostante non abbia ufficialmente condannato i lanci di razzi di Hezbollah, ha ribadito che il Libano non ha alcuna intenzione di entrare in guerra. Ieri il ministro ha poi incontrato Nasrallah, leader di Hezbollah, con cui ha discusso delle «responsabilità di ciascuno e delle posizioni da prendere».
Il Medio Oriente intero è in tumulto e il venerdì si è trasformato in una mobilitazione generale contro l’occupazione dei Territori palestinesi. In Giordania la polizia ha lanciato lacrimogeni sui manifestanti che marciavano verso il confine con la Cisgiordania. Massicce manifestazioni nella capitale Amman, ad Aqaba e Maan, come in Yemen, Egitto, Algeria, Iraq, Bahrein, oltre che in Bangladesh e Pakistan.
Intanto sono continuati gli scambi di fuoco a sud. Se l’escalation non dovesse fermarsi, il Libano, dopo quattro anni di crisi economica, politica e sociale si troverebbe in una guerra non voluta che lo precipiterebbe nell’abisso più profondo.
* Fonte/autore: Pasquale Porciello, il manifesto[1]
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