Gaza. La strage e i crimini che il mondo non vede
L’ufficio per gli affari umanitari delle Nazioni unite ha comunicato che più della metà della popolazione di Gaza è ormai sfollata. Il trasferimento forzato di massa, ha ricordato anche l’Onu, è un crimine
I soldati «stanno facendo una serie di esercizi in modo da essere pronti per l’operazione» ha tenuto a far sapere ieri un portavoce militare di Israele. La poco rilevante informazione serviva a bilanciare una assai più importante notizia di segno opposto: l’invasione di terra nella striscia di Gaza è rimandata.
Il portavoce militare si riferiva alla fanteria: l’aviazione i suoi «esercizi» non li ha mai interrotti, come sanno bene i palestinesi sotto le bombe. In attesa della carneficina terrestre che arriverà, scivola come un dettaglio la carneficina aerea che c’è già. Ma sono più di cinquemila i morti palestinesi dall’inizio dell’assedio, in maggioranza donne e bambini, mentre lo stesso governo israeliano parla di centinaia di capi di Hamas colpiti, così confermando anche nei numeri che la guerra è fatta ai civili. Solo tra domenica e lunedì sono morti in quasi cinquecento dicono le fonti dalla Striscia. Malgrado l’invasione si faccia attendere. Sono morti nell’attesa.
Ieri l’ufficio per gli affari umanitari delle Nazioni unite ha comunicato che più della metà della popolazione di Gaza è ormai sfollata. Ha lasciato case che assai difficilmente rivedrà, abbia successo o meno l’espulsione collettiva perché nel frattempo quelle case saranno state tutte distrutte. Il trasferimento forzato di massa, ha ricordato anche l’Onu, è un crimine.
Crimine particolarmente efferato in questo caso, visto che le persone che sono state fatte sfollare verso sud con la promessa di corridoi sicuri sono state in più occasioni ugualmente bombardate. Tanto da fuggire di nuovo verso nord, cercando una salvezza sempre più difficile dentro una gabbia sempre più piccola e più esposta al fuoco.
Ma il concetto di crimine, così come persino quello di diritto internazionale, secondo il realismo dei fomentatori della rabbia di Israele sono ormai inservibili. L’Onu e i tribunali internazionali non servono più a niente – tant’è che adesso è addirittura la Russia dell’aggressione all’Ucraina a chiedere al Consiglio di sicurezza di condannare Tel Aviv – chi ancora ci crede è un’anima bella. Salvo scoprire, però, che sguarnita la diplomazia e gettato alle ortiche il diritto, non resta che la barbarie della violenza. Che infatti si dispiega ormai da diciassette giorni, con il contorno tutt’al più di timidi inviti alla moderazione. Quelli sì inutili.
Fermare la strage che sta portando avanti Israele – è qui che sbagliano i suoi sostenitori, in buona o cattiva fede che siano – non c’entra niente con il riconoscergli il diritto a difendersi. La sua vulnerabilità di fronte al barbaro attacco di Hamas è anzi la novità con la quale tutti devono fare i conti, anche i critici più inflessibili del governo di Tel Aviv. Questa novità andrebbe indagata a fondo per capire cosa veramente ha reso possibile il successo dei terroristi (probabilmente al di là delle loro stesse aspettative), che peso ha avuto l’incapacità del governo più a destra nella storia di quel paese, come hanno influito le fratture che ha alimentato nella società israeliana e nel rapporto con le forza armate.
Intanto, lasciare a Netanyahu mano libera nella vendetta, rivendicare persino il suo diritto alla punizione collettiva, lanciare inni al dio della guerra come si è arrivati a fare (nel nostro paese al solito in maniera più sguaiata che altrove) non risponde al desiderio di proteggere Israele. Ma solo a quello di sterminare con cinica arroganza un problema che non si è saputo affrontare. Eliminarlo anche dai propri pensieri. Ma quel «problema» è l’esistenza stessa del popolo che quelle terre abita, i bambini, le donne e gli uomini palestinesi che stanno morendo, ammazzati, a migliaia.
Niente, nemmeno la lunga occupazione illegale e violenta da parte di Israele giustifica l’oscena macelleria di Hamas. Ma ugualmente niente giustifica la strage che Israele sta portando avanti impunemente, nemmeno l’attacco di Hamas e nemmeno il fatto che la cornice del diritto internazionale sia ormai rotta in più punti. Se a invocare l’inservibilità delle regole è colui che apertamente le viola qualche domanda dovrebbero farsela anche i realisti assolutori di Netanyahu.
Cosa impedisce questa elementare presa di coscienza, ora che neanche la bilancia degli ultimi morti è più in equilibrio? Bambini erano molti degli israeliani trucidati da Hamas, bambini erano e sono molti palestinesi bombardati da Israele. Persino il discorso sulle cause di tanto dolore può aspettare, adesso. La violenza non è mai fuori dalla storia anche quando è folle e cieca, ma adesso Israele va fermata in nome di quello che può ancora essere, non di quello che è stato.
Non ci sarà alcuna pace possibile, nemmeno la più fragile e provvisoria, se a Netanyahu sarà consentito di continuare sulla strada del sangue, se sarà addirittura spinto a farlo. Solo un cessate il fuoco immediato può mantenere aperto almeno uno spiraglio verso la pace.
Chi, come la quasi totalità dei governi occidentali, il nostro in prima fila, si rifiuta persino di chiederlo, è complice del futuro di guerra che si sta costruendo oggi. E che i palestinesi nella striscia di Gaza stanno già pagando. Nell’attesa dell’invasione di terra.
* Fonte/autore: il manifesto
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