Francia. Mariam Abu Daqqa: «Arrestata a Marsiglia perché palestinese»
Intervista alla femminista gazawi Mariam Abu Daqqa, detenuta dalla polizia francese su ordine del ministero degli interni. Ieri il tribunale ha sospeso l’ordine di espulsione ma Darmanin fa ricorso: «Le istituzioni si sono permesse di dire che sono una terrorista, ma io non lo sono e non lo sono mai stata. Non si può dire che tutti i palestinesi sono Hamas, prima di Hamas c’è il popolo palestinese che rischia di essere annientato»
MARSIGLIA. In Francia la voce palestinese soffoca sotto il peso della censura. Mariam Abu Daqqa, femminista e attivista palestinese di 71 anni, era attesa per una conferenza di pace a Tolosa per parlare della condizione delle donne a Gaza ma il 16 ottobre è stata arrestata alla stazione di Marsiglia, dove ha ricevuto un ordine di espulsione con la minaccia di essere rispedita a Gaza.
Con lei, al momento dell’arresto, c’era Pierre Stambul, attivista e portavoce dell’Unione Ebraica Francese per la Pace (Ujfp), che l’ha ospitata durante il suo tour di conferenze. Ieri il tribunale amministrativo ha sospeso l’ordine di espulsione del ministero dell’interno: «Il ministro ha portato un attacco gravo e manifestamente illegale alla libertà di espressione e alla libertà di movimento di Mariam Abu Daqqa». Il ministero ha già annunciato che presenterà ricorso.
«Abbiamo iniziato nel 1994 – racconta Stambul – e il nostro motto era: “Nessun crimine in nostro nome”. Ben presto abbiamo scoperto l’occupazione, la colonizzazione, i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità, l’apartheid, il suprematismo. Siamo antisionisti. Sosteniamo il boicottaggio di Israele, ma lottiamo contro il razzismo in tutte le sue forme: contro neri, arabi,i rom, musulmani e naturalmente contro gli ebrei».
Abu Daqqa, presidente della Palestinian Development Women Studies Associationse, parte del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, è rimasta per una settimana agli arresti domiciliari in un albergo a Marsiglia con il suo visto, regolarmente rilasciato dal consolato francese a Gerusalemme a fine settembre scorso, annullato.
Cosa è successo il 16 ottobre?
Mariam Abu Daqqa: Il consolato francese a Gerusalemme mi aveva rilasciato un visto valido fino al 24 novembre, per fare delle conferenze in Francia e parlare della condizione femminile in Palestina, invitata dall’Unione ebraica francese per la pace e altre associazioni. Poi il 7 ottobre sono iniziati i problemi. Hanno cominciato a vietare le mie conferenze e ad accusarmi di essere una terrorista e di supportare Hamas, con il quale non ho nessun rapporto. Hanno cancellato la mia conferenza all’Università di Lione e poi anche quella che dovevo tenere a Metz. Sono arrivata a Marsiglia l’11 e dovevo partire lunedì mattina per Tolosa per un’altra conferenza. Poco prima di arrivare in stazione, alle 7 del mattino, io e Pierre Stambul siamo stati fermati dalla polizia che ci ha condotti al commissariato municipale. Abbiamo dovuto attendere, perché lì non erano al corrente dell’ordine di espulsione firmato dal ministro dell’interno Darmanin. Hanno rilasciato Pierre e mi hanno trattenuta, dicendo che il mio visto era annullato. Mi hanno ritirato il passaporto e comunicato che, durante il tempo necessario a organizzare la mia espulsione, sarei rimasta agli arresti domiciliari in una residenza nel nord di Marsiglia, dalla quale posso uscire solo dalle 7 alle 22, con l’obbligo di presentarmi in commissariato tutti i giorni alle 12.30. Mi hanno vietato anche di partecipare a qualsiasi manifestazione pubblica, di rilasciare interviste (con la stampa francese, ndr) o fare conferenze.
Pierre Stambul: Sono stato solo perquisito e rilasciato dopo venti minuti. Per Mariam, invece, è stato indetto un decreto di espulsione. Abbiamo presentato due ricorsi giuridici: contro l’ordine di espulsione e contro gli arresti domiciliari.
Il ministro Darmanin ha motivato l’ordine dicendo che «la sua presenza è una minaccia all’ordine pubblico in un contesto di tensioni interne e le sue conferenze, molto seguite, possono esacerbarle». Inoltre, La France Insoumise di Melenchon l’aveva invitata a parlare all’Assemblea Nazionale, ma la presidente Yaël Braun Pivet ha vietato l’invito specificando che «si sarebbe trattato di un insulto alle vittime dell’antisemitismo e una provocazione ai valori democratici». Cosa risponde?
MAD: A 71 anni non credevo che mi potesse capitare una cosa simile, pensavo che in Europa fossi sicura e la Francia fosse un paese libero, che rispetta i diritti umani, tra cui la libertà di espressione. Sono venuta qui per parlare dei diritti delle donne palestinesi, della sofferenza del mio popolo e per la pace. La Francia prima mi ha dato un visto e poi me lo ha ritirato, dicendo che rappresento una minaccia per l’ordine pubblico. Penso che in questo momento la democrazia sia sospesa. Le istituzioni si sono permesse di dire che sono una terrorista, ma io non lo sono e non lo sono mai stata. Non si può dire che tutti i palestinesi sono Hamas, prima di Hamas c’è il popolo palestinese che rischia di essere annientato. È in guerra dal 1948 e che tutti i giorni piange i suoi morti.
PS: La Francia sta imitando paesi come l’Ungheria e la Turchia. Sta violando diritti fondamentali: scioperi, manifestazioni, libertà dei media. Sta cercando di criminalizzare il sostegno alla Palestina.
Poi avete fatto ricorso all’ordine di espulsione.
MAD: Certo, avevo chiesto in commissariato di poter lasciare la Francia subito, perché non voglio finire in prigione. Loro mi hanno detto di no, che dovevo attendere almeno 5 giorni e per questo mi hanno ritirato il passaporto. Come possono rimpatriarmi in un paese in guerra come Gaza? Il mio avvocato ha chiesto la revoca degli arresti domiciliari all’hotel. Anche l’ambasciatrice palestinese in Francia si è impegnata per chiedere l’annullamento dell’ordine di espulsione.
PS: Rischia di essere rispedita a Gaza, non si sa come e quando. Un’abitante di Gaza, d’altronde, non può andare in Cisgiordania. Il sionismo ha frammentato la Palestina. Ad ogni modo, lei è qui da inizio ottobre e non si è presentata nessuna violenza o scontro. Una popolazione che lotta per la propria liberazione e la sua legittima espressione non c’entra nulla con il terrorismo islamista. E il rimpatrio forzato di una persona a Gaza, con tutto quello che vediamo nei telegiornali, è inimmaginabile.
* Fonte/autore Alessandro Barbieri, Emily Pomponi, il manifesto
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