Conflitto israelo-palestinese: trent’anni dopo Oslo, basta retorica
Con il Patto di Abramo voluto da Trump, l’apertura delle relazioni diplomatiche tra Riad e Tel Aviv avrebbe potuto dare forse, nella migliore delle sole ipotesi, il via alla nascita dei due stati, di cui uno palestinese foraggiato dall’Arabia Saudita
La guerra non ha quasi mai una colpa sola e neppure l’ultima risolverà nulla. Ma smettiamola di fare della retorica su Israele e Palestina. Da una parte i “regolari” che hanno uno Stato, dall’altra dei “terroristi” al quale vorremmo darne uno ma alla nostra maniera, una sorta di prigione a cielo aperto come la Striscia di Gaza. Se ne era parlato molto in queste settimane mentre si moltiplicano le ipotesi di un accordo storico tra Israele e Arabia Saudita, un altro segnale che il baricentro del mondo arabo si spostava verso il Golfo.
Trent’anni dopo gli accordi Oslo, con il Patto di Abramo voluto da Trump, l’apertura delle relazioni diplomatiche tra Riad e Tel Aviv avrebbe potuto dare forse, nella migliore delle sole ipotesi, il via alla nascita dei due stati, di cui uno palestinese foraggiato dall’Arabia Saudita che ne avrebbe dovuto essere il garante internazionale. Lo scrivevano giornali informati come il «New York Times». Una fuga in avanti che poteva sembrare anche esagerata.
E soprattutto emergeva una domanda: cosa ne pensano i sia pure assai divisi palestinesi? La loro opinione che fossero di Gaza o della Cisgiordania dei territori ancora occupati in violazione del diritto internazionale, non era contemplata. Perché? Perché in Medio Oriente è importante non chiedere la loro opinione, ma costruire la narrativa che deve portare una parte politica, un avversario o un nemico alla resa o al consenso, senza troppo discutere. Prendere o lasciare. Ed ecco che il coro europeo segue, privo di un copione, di conoscenze, persino di buonsenso. Poi chiedetevi perché fuori c’è, ancora, la guerra.
* Fonte/autore: Alberto Negri, il manifesto
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