by Elena Kaniadakis * | 7 Settembre 2023 11:50
Respinto il ricorso di una famiglia siriana
ATENE. Erano saliti su un aereo, convinti che li avrebbe portati nella capitale greca. E invece i sei componenti curdi di una famiglia siriana si sono ritrovati in Turchia: costretti da lì a riparare in Iraq e a vedere infranta la speranza di vivere in Europa.
Era il 2016 e la famiglia, con quattro bambini piccoli in fuga da Aleppo, era sbarcata nell’isola di Milos, per ritrovarsi, pochi giorni dopo, su un aereo in un’operazione di rimpatrio congiunta condotta dall’agenzia europea di Frontex e dalla Grecia, anche se la loro richiesta di asilo non era ancora stata esaminata. Ora la Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito che Frontex «non può essere ritenuta responsabile di eventuali danni legati al rimpatrio in Turchia», poiché «non ha il potere di valutare il merito delle decisioni di rimpatrio o delle domande di protezione internazionale» prese dagli Stati membri. Una sentenza che assesta un duro colpo ai tentativi di avvocati e ong di chiamare direttamente in causa le responsabilità dell’agenzia europea in Paesi come la Grecia, accusata di violare sistematicamente il diritto internazionale nelle sue politiche migratorie.
Dopo avere presentato una denuncia al responsabile dei diritti fondamentali di Frontex, la famiglia siriana si era rivolta alla corte di Lussemburgo, chiedendo un risarcimento di 96mila euro per i danni materiali e di 40mila euro per i danni morali derivanti dal rimpatrio forzato. Ma secondo la Corte di giustizia Ue, l’unico compito di Frontex in questo tipo di operazioni riguarda «il supporto tecnico»: «È quindi sbagliato ritenere che, se non fosse stato per le presunte mancanze di Frontex, i rifugiati non sarebbero stati rimpatriati illegalmente in Turchia», ha sentenziato la Corte.
Un verdetto che secondo l’avvocata della famiglia, Lisa-Marie Komp, dello studio olandese Prakken d’Oliveira, evidenza piuttosto «una lacuna nelle responsabilità» dell’agenzia chiamata a vigilare alle frontiere. «Le istituzioni dell’Ue e gli Stati membri dovrebbero essere inorriditi dalla prospettiva di ciò che sta accadendo e dovrebbero garantire che i respingimenti non si verifichino», ha dichiarato l’avvocata. «Frontex è un’agenzia che ha un grande potere sulla vita delle persone: il potere dovrebbe sempre essere accompagnato dalla responsabilità».
Già finita al centro delle polemiche, un anno fa, quando il direttore esecutivo Fabrice Leggeri si era dimesso in seguito alle accuse di complicità nei respingimento illegali in Grecia, Frontex è stata accusata di «inerzia» anche per il naufragio di Pylos, che ha causato la morte di più di 500 persone. Ma anche in quel caso il copione rimane lo stesso: Bruxelles rivendica il suo ruolo di vigilanza alle frontiere europee, ma sempre un passo indietro rispetto ad Atene. Secondo gli avvocati, se non fossero stati rimpatriati illegittimamente in Turchia, i sei curdi avrebbero ottenuto la protezione internazionale, considerata la situazione in Siria all’epoca dei fatti. Invece ora alla famiglia non rimane che valutare la possibilità di ricorrere in appello.
* Fonte/autore: Elena Kaniadakis, il manifesto[1]
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