Ucraina. La guerra nella testa e il silenzio dell’Europa
Le porte girevoli della Nato e l’assenza totale di piani per fermare il conflitto. Nonostante ogni giorno disegni un percorso di morte, di distruzione, di irrazionalità
Dal vertice atlantico di Vilnius del 12 luglio alle dichiarazioni del capo di gabinetto della Nato Jenssen sulla guerra in Ucraina sembra di essere sempre di più dentro un romanzo surreale di Louis-Ferdinand Céline, in particolare dell’ultimo manoscritto ritrovato che non a caso si chiama Guerra. Che quasi nelle prime righe, iniziando a raccontare la sua immobilità di ferito alla testa tra cadaveri e fango delle trincee della prima guerra mondiale, scrive «…Mi sono beccato la guerra nella testa. Ce l’ho chiusa nella testa».
È così, questa guerra ci è entrata in testa a 360 gradi, come ama ripetere euforica la presidente del Consiglio Meloni, e non vuole uscirne. Nonostante ogni giorno disegni un percorso di morte, di distruzione, di irrazionalità in un teatro dell’assurdo difficile anche da rappresentare.
Partiamo dalle conclusioni del vertice dell’Alleanza atlantica di Vilnius: l’Ucraina ha chiesto esplicitamente l’adesione alla Nato e almeno un calendario per il suo ingresso, le è stato risposto, a cominciare da Biden, no «perché altrimenti saremmo subito in guerra con la Russia». Risposta surreale: ma non era chiaro fin dall’inizio del conflitto, e anzi motivazione stessa dell’aggressione di Mosca? E anche serpeggiante contenuto degli otto anni di guerra civile in Ucraina?
No e poi no, l’adesione «non è automatica», parole del presidente Usa: ci sono da risolvere tanti problemi, «la corruzione» e non solo nell’esercito che gli Usa conoscono bene per averlo portato con la coalizione di volenterosi ad invadere l’Iraq nella guerra immotivata e devastante del 2003, ma nell’intera società dominata dalle volontà degli oligarchi, come quella russa, che il conflitto ha aggravato; e poi «c’è la democrazia», non proprio rispettata se solo si pensa che non esiste opposizione, sospesa per via della guerra ma già periclitante prima.
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Ma tutto questo non lo si sapeva già? Non bastava questa irrazionalità. Perché a rabbonire le preoccupazioni di Zelensky è subito arrivata la promessa: «L’Ucraina entrerà nella Nato alla fine della guerra». Anche il più refrattario degli osservatori non ha potuto fare a meno di notare che questo equivale ad una autorizzazione malcelata a Putin a continuarla, la guerra.
Ma il teatro dell’assurdo non si è limitato a questo. Perché con Vilnius è apparso a tutti chiaro che c’è un solo attore sulla scena occidentale-europea e non è l’Unione europea, ma la Nato transatlantica, con una Europa ormai a trazione polacco-italiana che vede nel conflitto e nella sua continuazione una polizza di assicurazione per la propria politica domestica di estrema destra, con l’appoggio dell’amico che più amico non si può, Joe Biden. E infatti sono stati i giorni delle porte girevoli: Stoltenberg si avvia a lasciare la segreteria Nato, e si propone addirittura Ursula von der Leyen presidente dell’inesistente Unione europea. Che volete che sia: Alleanza atlantica e Unione europea non sono forse la stessa cosa ormai?
L’esercizio del delirio è suffragato dalla riproposizione da parte dei leader atlantici della «vittoria» a 360 gradi, dimenticando che dall’altra parte l’aggressore ha l’arma atomica, quindi fino alla vittoria vuol dire fino all’ultimo ucraino, per una prospettiva che potrebbe rivelarsi più criminale della stessa aggressione russa. Mentre l’invio di armi di difesa è in evidente superfetazione, con la guerra apertamente portata sul territorio russo.
Va da sé che qualcuno da una parte e dall’altra sta prospettando una soluzione per uscire dall’assurdo, e non è purtroppo il cessate il fuoco, una linea armistiziale (modello Corea o Cipro), il ritiro russo dai territori occupati, il nodo dell’autonomia dei territori russofoni del Donbass già considerata nel Formato Normandia, la neutralità dell’Ucraina. No, ieri Stian Jenssen, capo di gabinetto del segretario generale della Nato ha dichiarato pubblicamente che «la cessione di territori sarebbe una soluzione possibile per l’Ucraina per ottenere l’adesione alla Nato».
Subito attaccato da Kiev, redarguito e smentito dall’Alleanza atlantica, ha fatto dietrofront. Ma di che apertura si trattava? La fine della guerra potrebbe mai avvenire nello scambio ineguale tra territori e ingresso nella Nato, se anche per il leader atlantici l’adesione alla Nato vorrebbe dire entrare in guerra con la Russia? Riecco il circolo vizioso dell’assurdo.
Qualcosa di assolutamente reale c’è però. Oltre agli attacchi criminali russi che si susseguono ogni giorno e alla crisi mondiale del grano, c’è una crisi di legittimità che – dopo quella in Russia con l’avventura della Wagner – si è aperta a Kiev. Questa è infatti la decisione di Zelensky di licenziare ed arrestare i militari e i civili responsabili di tutti i centri di reclutamento militare, perché lì in questo anno e mezzo di guerra è andata in onda una verità che non ci hanno raccontato: che migliaia se non centinaia di migliaia di ucraini hanno fatto deliberatamente ricorso alla corruzione per scampare all’arruolamento di massa e obbligatorio, sfuggire all’esercito e se possibile riparare all’estero.
Diserzione, renitenza alla leva per una contrarietà a questa guerra per la quale la Nato propugna invece «la vittoria». A cui si aggiunge in queste ore la condanna ai domiciliari di Yuri Sheliazenko, leader pacifista non-violento ucraino, accusato di «giustificare la guerra di aggressione russa», proprio come fa Putin deportando il sociologo pacifista russo Boris Kagarlicky. C’è dunque una opinione pubblica ucraina, come in Russia, che non si riconosce nella continuazione del conflitto.
A queste opinioni le leadership europee non parlano. Anzi. Il movimento che dice no alla guerra comincia, forse, ad impensierire davvero a Kiev, a Mosca. E qui da noi.
* Fonte/autore: Tommaso Di Francesco, il manifesto
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