L’Institute for Economics & Peace (Iep) misura la pace in un mondo complesso. Dall’ultimo report (Gpi) 2023 si evince che l’impatto economico della violenza a livello globale nel 2022 è stato di 17,5 trilioni di dollari di acquisti. Questa cifra è equivalente al 12,9% del Pil mondiale o a 2.200 dollari a persona, in aumento del 6,6%rispetto all’anno precedente.

Questo è stato determinato principalmente da un aumento dell’impatto totale economico della spesa militare globale, che è aumentata del 16,8%, in termini assoluti. Gran parte dell’aumento è derivato dalla invasione russa dell’Ucraina e dalle relative spese militari dai paesi direttamente e indirettamente coinvolti nel conflitto. Per i dieci Paesi più colpiti dalla violenza, la media economica dell’impatto è stata pari al 34% del Pil.

Il rapporto Gpi 2023 esamina anche l’impatto economico di un ipotetico blocco cinese di Taiwan. Iep stima che un blocco avrebbe un impatto due volte più grande della crisi finanziaria globale, con il Pil globale in calo del 2,8% in un anno. L’economia cinese si ridurrebbe di una stima del sette%, mentre l’economia di Taiwan si contrarrebbe di quasi il 40%. Ci sarebbe una fuoriuscita significativa in qualsiasi settore che si basa su complessi di elettronica, poiché Taiwan produce oltre il 90% dei semiconduttori logici avanzati del mondo.

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Guerra ucraina e non solo. Ecco come si affama il mondo[1]La necessità di una risposta sistemica per costruire la pace è urgente. Il conflitto si sta intensificando in diverse regioni e il divario tra i paesi più e meno pacifici continuano a farlo crescere, e anche se molte misure di militarizzazione sono migliorate negli ultimi quindici anni, la proliferazione di tecnologie militari avanzate più economiche, la crescente concorrenza geopolitica, e una sottostante corrente di instabilità politica in molti paesi significa che un continuo deterioramento della pace globale sembra probabile.

Nonostante questo quadro drammatico, le dichiarazioni politiche, anche della premier Meloni (12 luglio 2023), vanno nella direzione di considerare come altamente vantaggioso investire in armamenti. Secondo il dossier pubblicato da Sbilanciamoci nel marzo del 2023 a firma di Gianni Aliotti, l’idea che l’industria militare sia una trave portante del sistema economico e occupazionale è solo un mito, sfatato dai dati ufficiali del settore.

Negli ultimi dieci anni ciò che è aumentato è solo il fatturato – e i profitti, lievitati del 773% – mentre gli occupati sono calati del 16%. Il discorso pubblico nonviolento dovrebbe discendere sempre più dal mettere in evidenza che esiste una legge di tendenza generale, a partire dalla quale è possibile creare, in alternativa, le condizioni per la pace. Le disuguaglianze creano conflitti anche tra le oligarchie mondiali che sono alla base della guerra in Ucraina.

La nostra capacità di metterlo in evidenza ci condurrà fuori dalle secche di discussioni sterili che ci portano quasi sempre in un vicolo cieco. Ecco perché le fondamentali discussioni sull’invio di armi, pur tuttavia altro non sono che una deviazione dal tema principale: questo sistema capitalistico neoliberista è basato sulla guerra, contro i poveri che crea, contro l’ambiente che viene depredato, ma anche a livello delle stesse oligarchie debitrici e creditrici che attribuiscono a questo conflitto un significato da resa dei conti per la costruzione di un nuovo loro ordine mondiale, militare, economico e tecnocratico.

A noi questa lettura interessa per non dividerci, per prendere il largo e condurre i popoli laddove esistono germi nuovi di un mondo nonviolento, indipendente, non subordinato che basi i propri rapporti economici sulla parità, che elimini il ruolo della finanza speculativa e che rifondi la politica su questi presupposti. Questa economia di pace dovrà essere sempre più il centro delle nostre analisi.

* Fonte/autore: Antonio De Lellis, il manifesto[2]