Carola Rackete: «I ricchi devono pagare la transizione ecologica»
La ex capitana della SeaWatch 3 si candiderà alle europee con la Linke: «Verdi e Spd trascurano la questione sociale e così fanno il gioco dell’estrema destra. Agli attivisti dico: battiamoci nelle strade senza sottovalutare il voto. I movimenti sono come ecosistemi, richiedono ruoli diversi»
Carola Rackete correrà alle prossime elezioni europee con Die Linke (tradotto: la sinistra). Nata nel 1988 a Preetz, in Germania, è finita sulle prime pagine dei giornali a giugno 2019 per lo scontro con l’allora ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini. Il leghista avrebbe voluto impedirle di entrare nel porto di Lampedusa con i naufraghi salvati a bordo della Sea Watch 3. Oggi la “capitana” preferisce non parlare di migrazioni, tema di cui si è occupata per un tempo limitato. Vuole concentrare tutta l’attenzione su quella che ritiene la questione fondamentale del presente e del futuro prossimo: una transizione verde socialmente giusta.
Si candida con la Linke. Cosa significa essere di sinistra?
Non mi sono mai identificata in maniera forte con la parola “sinistra”. Per me il punto centrale è: per cosa ci stiamo battendo? Io mi batto per diritti umani, giustizia sociale e protezione dell’ambiente. Istanze portate avanti principalmente dalla sinistra, partitica e sociale. Comunque nella lista della Linke sono una candidata indipendente.
Cosa comporta?
Mi è stato chiesto specificamente dai leader del partito di correre come indipendente perché vogliono aumentare la cooperazione e la connessione tra parlamento e movimenti sociali. E io ho uno stretto rapporto con il movimento per la giustizia climatica. Non solo in Germania, ma anche in Europa e a livello internazionale. Quello che proveremo a fare è usare il mio mandato per fornire risorse e informazioni ai movimenti sociali, facendo spazio alle loro rivendicazioni. Cercheremo un equilibrio tra la rappresentanza degli elettori locali e i bisogni di chi non può votare, perché vive fuori dai confini Ue, pur subendo gli effetti delle sue politiche, o perché comunque è escluso da questo diritto. In Germania parliamo del 14% degli adulti che vi abitano. Questa situazione crea una mancanza di democrazia.
Ha deciso individualmente di candidarsi o ne ha discusso con movimenti e realtà di base?
Non ho discusso con i “movimenti” in quanto tali, ma con molti attivisti che partecipano a varie battaglie, dalla giustizia climatica alla tutela della biodiversità. Quando guardiamo ai movimenti spesso diciamo che sono una sorta di ecosistema dove i vari gruppi hanno differenti esperienze, strumenti e obiettivi. Quindi svolgono ruoli diversi. Ci sono quelli concentrati sulla disobbedienza civile. Chi si occupa di advocacy o educazione pubblica. Altri danno battaglia nei tribunali. Spesso però resta un divario con il sistema parlamentare. Specialmente qui in Germania, dove i Verdi sono diventati parte di un governo di coalizione e la Linke vive un processo di scissione.
Il pezzo della Linke che fa capo a Sara Wagenknecht sostiene che candidature come la sua parlino solo a un elettorato “woke”, cioè a una sinistra di classe media, urbana e intellettuale. Lontana dai “lavoratori”.
Andrebbe specificato cosa deve fare un partito di sinistra. Per me: sostenere le cause di tutti i gruppi marginalizzati. Migranti, disoccupati, lavoratori poveri, donne, persone lgbtqi+. Tutti coloro che soffrono forme di ingiustizia dovrebbero essere rappresentati da un partito di sinistra. Pensiamo ai lavoratori: in Germania come in Italia molti di quelli che guadagnano meno e soffrono condizioni di impiego peggiori sono migranti. Non sono nati nei nostri paesi e quindi hanno meno accesso a occupazioni dignitose e stabili dove è possibile contare sui sindacati. Credo sia un grande problema che una parte della sinistra tradizionale voglia rappresentare soltanto i lavoratori sindacalizzati. Per molte persone che hanno occupazioni precarie non è nemmeno pensabile entrare in quelle organizzazioni.
Come è possibile che l’estrema destra cresca perfino in Germania e soprattutto nell’est?
L’attuale coalizione di governo non mette al centro delle sue politiche la giustizia sociale. Anche se formalmente è guidata dai socialdemocratici (Spd). Le questioni dell’equità e della redistribuzione finiscono in secondo piano quando si deve stabilire chi paga cosa. I Verdi logicamente spingono per l’urgente e necessaria transizione ecologica che cambierà le nostre vite. Giusto. Ma dovrebbe essere compito dell’Spd trovare i modi di rendere questo processo socialmente equo. Per esempio facendolo pagare alle compagnie del fossile o ristabilendo l’imposta sui patrimoni cancellata molti anni fa. Ma i socialdemocratici stanno fallendo completamente questo compito. Così molte persone temono di restare indietro economicamente o essere dimenticate, specialmente nell’est. Lì hanno vissuto la rottura dell’Urss, la fine della Ddr. Anche a causa di tale esperienza hanno paura di un’altra grande trasformazione. Di cui però abbiamo bisogno: quella socio-ecologica. Credo che il problema centrale sia la comunicazione politica e la scarsa attenzione al tema della giustizia sociale. Anche nell’Spd.
Alle prossime europee la frattura principale sarà proprio sulla transizione ecologica. Lei cosa propone?
La crisi climatica si sta intensificando più rapidamente di quanto gli scienziati avevano calcolato. Dobbiamo prendere misure urgenti. Il punto è come realizziamo la transizione socio-ecologica in maniera equa. Ovviamente le emissioni vanno ridotte, ma dobbiamo anche vedere chi ne realizza di più. Una buona quota viene dagli europei ricchi. Ci sono grandi differenze a livello internazionale, ma anche dentro gli stessi paesi Ue. Esistono responsabilità specifiche per la crisi che stiamo vivendo che vanno tenute in conto. Serve un’imposta sul patrimonio. Bisogna far pagare tutte le tasse alle grandi società che si rifugiano nei paradisi fiscali. Le compagnie del fossile devono essere socializzate e i loro affari nocivi liquidati, non li interromperanno da sole. Occorre creare nuovi posti di lavoro nel settore delle rinnovabili. Tutto ciò può accadere solo attraverso l’intervento statale.
E poi?
Un altro tema importante è il mercato delle compensazioni per le emissioni di Co2. Questo sistema è largamente screditato. Ci sono studi scientifici che dimostrano come tra l’80 e il 90 per cento dei progetti non funzionino. Ma la Commissione Ue vuole creare nuovi mercati analoghi. In particolare uno per l’acqua – cioè: se inquini un fiume paghi affinché, teoricamente, sia ripulito da qualche altra parte – e un altro per la biodiversità, che funzionerebbe più o meno secondo la stessa logica. Queste cose sono lontane dall’attenzione pubblica ma hanno un impatto enorme perché danno l’impressione che stiamo facendo qualcosa mentre ci stiamo solo prendendo in giro.
Dopo l’episodio di Lampedusa come è continuato il suo impegno politico?
Come prima. Avevo iniziato a lavorare nella regione polare nel 2011. Sono stata in Antartide nove volte. Principalmente a bordo di navi di ricerca. Ho continuato a occuparmi di progetti di questo tipo. Adesso, per esempio, stiamo discutendo un’iniziativa specifica sui diritti della natura in Antartide. Lì si vede chiaramente che la crisi climatica corre ed è impossibile risolverla all’interno dell’attuale sistema di governo. In generale ho portato avanti campagne per l’ambiente. Sono un’ecologista. Ho trascorso gli ultimi anni, durante il Covid-19, in Scandinavia a fare azioni con il popolo sami. Le popolazioni indigene sono colpite in forma estrema dai cambiamenti climatici e dalla distruzione delle foreste. I progetti che abbiamo realizzato mostrano che è possibile affrontare insieme bisogni degli esseri umani e questioni ambientali.
Invece quale è stata la sua educazione politica? Come ha iniziato?
Sono stata coinvolta soprattutto dopo le missioni nella regione polare. Lì ho potuto parlare con molti scienziati che per 20, 30 anni avevano studiato la situazione, osservando la crisi climatica senza riuscire a scorgere possibili azioni politiche. In quel momento avevo ancora la patente nautica per guidare la nave e lavoravo per Greenpeace. Ma sono stata attiva anche in diverse occupazioni autonome di foreste, per esempio in Germania in quella di Hambach, vicino alla miniera di carbone.
A proposito del rapporto tra rappresentanza e movimenti, qualche giorno fa sul manifesto abbiamo pubblicato un appello che l’Alleanza Verdi e Sinistra ha rivolto alla società civile per un percorso comune verso le europee. Lei cosa direbbe agli attivisti chiamati in causa?
È fondamentale essere attivi nelle strade partecipando ai movimenti sociali, continuare a protestare dal basso. Credo anche, però, che non vada sottovalutato il potere delle istituzioni sulla nostra vita quotidiana. In Italia mi pare evidente con un governo di estrema destra. Per questo dovremmo incoraggiare le persone a usare il loro voto. Spesso la gente crede che le elezioni europee non siano importanti, ma il loro impatto è fortissimo. Non solo dentro la Ue. Poter votare è un privilegio, visto che a molti questa possibilità è preclusa, e dovremmo usarlo. Ai giovani attivisti dico di parlare con i loro amici o colleghi, con le comunità di cui fanno parte e spiegare quanto sia importante andare a votare in queste elezioni. Perché se non usiamo il privilegio garantito dal nostro passaporto europeo allora l’Ue potrebbe essere governata da un’alleanza conservatrice e di estrema destra. Significherebbe non poter ottenere nessun progresso nei prossimi cinque anni. Le implicazioni sarebbero enormi, dentro e oltre l’Unione europea.
* Fonte/autore: Giansandro Merli, il manifesto
ph by GUE/NGL, CC BY-SA 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0>, via Wikimedia Commons
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