by Massimo Franchi * | 30 Luglio 2023 18:46
Il «padre» del Reddito di cittadinanza: il governo cancella l’unico sussidio esistente a 600 mila persone. E si tagliano 4 miliardi. Oltre ai 250 mila di venerdì, dal 2024 altri 350 mila perderanno ogni tutela. E la «presa in carico» promessa è una presa in giro
Pasquale Tridico, ex presidente Inps e padre del Reddito di cittadinanza. Venerdì l’Inps ha comunicato a 169 mila nuclei familiari la fine del sussidio. Cosa ha provato?
Un sentimento contrastante. Mi aspettavo che accadesse, la legge parlava chiaro: alla scadenza dei 7 mesi del 2023 il Reddito di cittadinanza finisce per i cosiddetti occupabili. Quindi l’Inps ha fatto quello che doveva fare, comunicando alle persone che sarebbe stato l’ultimo mese[1]. Detto questo, mi ero augurato che da parte del governo ci fosse un ravvedimento perché nel frattempo la crisi economica morde e l’inflazione è da profitti: favorisce i ricchi e penalizza i meno abbienti, come confermano Bce e Fmi. Di questo, personalmente, mi dispiaccio moltissimo, è un colpo al cuore perché sono intimamente convinto della giustezza della misura: il Reddito di cittadinanza è uno strumento di lotta alla povertà moderno e funzionale. Tanto è vero che l’Unione europea ha chiesto a tutti i paesi di creare un «salario minimo» senza prevedere esenzioni, come invece ha fatto il governo Meloni, distinguendo occupabili o meno.
L’Inps ha comunicato la «sospensione» della misura. Ma sappiamo benissimo che si tratta di una cancellazione. E presto arriverà per molte altre persone. Mentre la «presa in carico» per effettuare i corsi di formazione è una chimera per i 169 mila capi famiglia.
Inps deve esprimersi in termini di cautela ma è chiaro che si tratta di una cancellazione. I 169 mila nuclei familiari corrispondono a circa 250 mila persone totali mentre dal primo gennaio perderanno il Reddito altre 350 mila persone: in totale 600 mila poveri non avranno più un sussidio. La «presa in carico» è in realtà una presa in giro. Doveva partire a gennaio, mentre la legge prevede che le persone si debbano attivare da qui al primo settembre su una piattaforma nazionale da cui riceveranno un «via libera» per iscriversi a fantomatici corsi di formazione. Prima di settembre nessuno avrà alcuna copertura, magari da ottobre qualcuno – ma nelle aree più produttive del paese, non certo al Sud – potrà iscriversi e vedersi riconoscere soli 350 euro al mese. Si tratta di una riforma di un cinismo totale, una guerra ai poveri, non alla povertà.
Il governo Meloni in legge di Bilancio ha tagliato circa 2 miliardi sul Reddito di cittadinanza e povertà, utilizzandoli per tagliare le tasse alle partite Iva senza limiti di reddito.
Io credo che in realtà il taglio sia almeno del doppio: circa 4 miliardi. Sarebbero solo due se tutti coloro che ora hanno il Reddito di cittadinanza da gennaio avranno questo Supporto alla formazione, ma non sarà certo così.
Fratelli d’Italia con il capogruppo Foti chiede addirittura «una commissione di inchiesta sui mancati controlli di Tridico» contro i cosiddetti «furbetti del Reddito di cittadinanza».
Sotto la mia gestione ho creato una Direzione antifrode mai esistita prima che ha evitato mancati esborsi per circa 3 milioni di domande dal 2019 al ’22 per un valore di 11 miliardi non pagati. Sul problema reale delle politiche attive, il Reddito di cittadinanza già lo affrontava: il 13% dei percettori sono stati presi in carico con la cosiddetta Gol (Garanzia di occupabilità dei lavoratori, ndr) e i centri per l’impiego regionali stavano iniziando a funzionare. Con questa riforma tutto viene cancellato. È inaccettabile la distinzione fra persone occupabili o meno. A parte la discutibilità dei criteri: l’età fissata è troppo alta, ad esempio. Ma è parere scientifico condiviso il fatto che la povertà non dipende dall’età o dall’avere figli disabili, tanto è vero che esistono gli Assegni di invalidità o la pensione sociale. La povertà è trasversale.
Già venerdì si sono registrate tensioni negli uffici dell’Inps, specie in Campania. A settembre si aspetta che il taglio del Rdc porterà allo scoppio di una crisi sociale come molti paventano?
Io mi aspetto che il governo faccia marcia indietro. Ha creato un vero clima da terrore sociale. Per poi inventarsi questa nuova «social card», buoni spesa limitati a 1,3 milioni di persone divisi per Comuni senza criteri. Si tratta solo del 18% dei 7 milioni di persone che sono sotto la soglia di povertà che avranno 382 euro per fare acquisti selezionati non si capisce in base a cosa – marmellata no, pelati sì – solo nella Grande distribuzione (Gdo) forse per fare un favore alle grandi imprese e controllare i loro consumi. Una card mensile, mentre noi l’anno scorso come Inps abbiamo erogato bonus da 200 e 150 euro direttamente sui conti correnti di 32 milioni di persone che avevano un Isee inferiore a 35 mila euro annui.
Dal punto di vista politico l’attacco da destra al Reddito di cittadinanza è una campagna ideologica: «I giovani stanno sul divano e non accettano di lavorare», sostengono anche tanti media.
È ideologica e falsa. Il Reddito di cittadinanza prevedeva infatti che il percettore dovesse accettare una «offerta di lavoro congrua». Se prevediamo che qualsiasi offerta di lavoro vada accettata, ci avviciniamo alla schiavitù. Questa è ideologia. Serve invece puntare sull’innovazione e aumentare i salari.
Lei si ritrova nella proposta di salario minimo orario fatta da Pd, M5s, Avs e Azione? Pensa che possa compattare l’opposizione al governo Meloni visto che il 70% degli intervistati sono a favore?
Mi ritrovo a patto che contenga l’indicazione dei 9 euro di minimo tabellare. Il potere di acquisto dei salari è crollato del 15%, solo prevedendo un limite di 9 euro si può determinare una spirale positiva anche per i salari medi, come mostrano molti studi. Se invece, come nella proposta di Forza Italia, ci si limitasse ad allargare erga omnes i contratti esistenti ai pochi lavoratori non coperti (circa il 3%), l’effetto sarebbe nefasto: ci sono tanti contratti firmati anche dalle confederazioni sindacali che sono sotto ai 9 euro.
Lei lanciò in un’intervista al manifesto la proposta di flessibilità in uscita sulle pensioni utilizzando la parte contributiva[2], non dicendosi contrario alla pensione di garanzia per i precari. Il governo Meloni sta facendo melina mentre, senza una riforma, a gennaio tornerà la Fornero.
Di pensioni si parla anche troppo ma non si fa niente da tanto tempo. Noi sappiamo già che il 55% dei lavoratori che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996 – sistema contributivo – avranno assegni inferiori alla soglia di povertà di 780 euro al mese. Serve dunque fare qualcosa ora coprendo i buchi contributivi o garantendo un tetto che incentivi comunque i precari a lavorare. Quanto alla flessibilità in uscita, confermo la mia proposta: andare in pensione da 63 anni con la sola parte contributiva dell’assegno. Non è la soluzione migliore ma è un buon compromesso: inoltre si potrebbe favorire il part time o la staffetta generazionale per i lavoratori in uscita così da integrare l’assegno basso fino a 67 anni e garantire un ingresso ai giovani.
Con la cancellazione del Reddito di cittadinanza finisce una stagione politica, quella del Movimento 5 stelle al governo. Lei è spesso vicino a Giuseppe Conte e molti la danno come sicuro candidato del M5s alle Europee del 2024.
Il mio impegno prossimo è quello di settembre: tornare a insegnare a Roma Tre. Sul resto, vedremo.
* Fonte/autore: Massimo Franchi, il manifesto[3]
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